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Cipriano Tascio - Caecilii Cypriani... Opera - 1558
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Cipriano Tascio - Caecilii Cypriani... Opera - 1558

LA VITA CRISTIANA A CARTAGINE DI UN MARTIRE DELLA CHIESA D'AFRICA San Cipriano fu vescovo di Cartagine tra il 249 e il 258, quando fu martirizzato al ritorno dall'esilio a Curubi per il suo ruolo nella controversia battesimale (255-57). I suoi scritti "danno un quadro vivido della vita cristiana a Cartagine, soprattutto durante le persecuzioni, e gettano luce sull'organizzazione della la Chiesa non solo in Africa dalla Mauretania alla Tripolitania, ma anche in Spagna, in Gallia e nella stessa Roma. Allo stesso tempo rivelano il carattere e le attività di Cipriano, vescovo spesso in pericolo di vita ma totalmente dedito al suo gregge, e pur essendo un capo di uomini, amato e rispettato sia dai cristiani che dai pagani, eppure oggetto di calunnie e opposizione da parte di un pugno del suo clero" Panzer VI, 226, 391 ; VD16 C-6509 ; Van der Haeghen, Bibliotheca Erasmiana II, 23. VD16C6516 UN'EDIZIONE DI POCO PRECEDENTE (1521) IN VENDITA ONLINE A 4.000 EURO. CONTENTS Intorno al 246 d.C. si convertì al Cristianesimo per l’opera di un certo Cecilio presbitero e nel 248 o 249 fu consacrato vescovo della Chiesa cartaginese. Gravi eventi incombevano: nel 251 d.C. l’imperatore Decio scatenò infatti la feroce persecuzione per la quale è passato alla storia. Nel fronteggiarla Cipriano dimostrò fortezza e buon senso, nel prodigarsi nelle cure al gregge a lui affidato zelo vivissimo e carità ardente. Per mantenere unita la Chiesa e non farle mancare il suo sostegno egli si rifugiò in una località non lontana da Cartagine, ove riuscì a sfuggire alla cattura e nello stesso tempo a continuare la sua missione pastorale prestando aiuto e conforto morale e materiale. Passata la bufera, una nuova difficoltà più sottile ma non meno preoccupante si presentò sul suo cammino: la questione della riammissione dei lapsi, cioè di coloro che, dopo aver rinnegato la fede cristiana in modo più o meno grave nel momento del pericolo – vi era chi, con o senza tortura, aveva sacrificato all’imperatore e anche chi, i cosiddetti libellatici, aveva invece finto di aver apostatato acquistando un falso libellum, il certificato che attestava di averlo fatto -, chiedevano ora di rientrare nel seno della Chiesa. Due indirizzi di pensiero si scontravano, quello rigorista, che negava la possibilità della riammissione; e quello lassista, che concedeva la riammissione senza imporre alcuna penitenza, invocando ad esempio i meriti di qualche martire. Nell’affrontare il difficile problema, che provocò ribellioni all’autorità ecclesiastica e scismi, Cipriano diede prova di equilibrio tra fermezza e carità, poiché egli dispose la riammissione dei lapsi dopo il compimento di una congrua e giusta disciplina penitenziale. Tra gli scritti ciprianei, il De lapsis descrive appunto la penitenza e le pratiche di pietà richieste agli apostati della fede durante la persecuzione. Dopo qualche anno di calma relativa e non priva di travagli – e per la recrudescenza della persecuzione di Decio voluta da Gallo e Volusiano, e per la disputa che oppose Cipriano e la Chiesa cartaginese al Papa riguardo la validità del battesimo impartito dagli eretici, disputa che fu poi risolta definitivamente in favore della posizione della sede romana, alla quale peraltro Cipriano portò sempre obbedienza, solo grazie alla dottrina teologica elaborata da sant’Agostino – ecco però scatenarsi un’altra persecuzione ad opera dell’imperatore Valeriano. Egli nel 257-258 d.C. emanò due editti punitivi nei confronti delle proprietà e della persona dei Cristiani e se ne avvalse particolarmente contro le autorità ecclesiastiche nella convinzione che la setta cristiana, che aveva raggiunto una discreta diffusione e una buona prosperità, potesse essere vinta decapitandola e privandola dei beni. I Papi Stefano I e Sisto II furono tra le vittime della persecuzione assieme ad altri personaggi di spicco nella Chiesa, tra i quali san Lorenzo e Dionisio di Alessandria. Anche Cipriano, ben noto al popolo come agli amministratori della provincia, fu di questi. Catturato, fu prima processato dal proconsole Aspasio Paterno e condannato all’esilio nella città di Curubis (agosto 257 d.C.); l’anno seguente fu richiamato dal successore di Paterno, Galerio Massimo, nuovamente giudicato e, per la sua irriducibilità, condannato alla morte per decapitazione il 14 settembre del 258 d.C. Esilio, condanna capitale ed esecuzione della sentenza sono raccontati in un’antica passio giunta fino a noi, sulla quale non sussistono dubbi di autenticità. CONDITION REPORT Legatura coeva in piena pergamena. Titolo inciso in oro al dorso. Stampato in tondo e corsivo, ravvivato da belle iniziali xilografiche di vario disegno e dimensione; la grande impresa tipografica di un Hermes a tre teste che regge un caduceo appare sia al frontespizio sia al colophon. Armi nobiliari alla prima bianca, timbretto e pecetta al frontespizio. Buono stato di mantenimento dell’opera. Bella copia, completa, pulita e ordinata. Pp. (2); 18nn. 367; 4nn. (2). FULL TITLES & AUTHORS D. Caecilii Cypriani, episcopi carthaginensis &martyris, opera: per Des. Erasmum roterodamum saepius a mendis summa vigilantia repurgata, & doctissimis annotationibus ad finem adiectis, illustrata. Basileae, Per Ioannem Hervagium, et Bernardum Brand, 1558 Cipriano Tascio Cecilio

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Cipriano Tascio - Caecilii Cypriani... Opera - 1558

Cipriano Tascio - Caecilii Cypriani... Opera - 1558

LA VITA CRISTIANA A CARTAGINE DI UN MARTIRE DELLA CHIESA D'AFRICA
San Cipriano fu vescovo di Cartagine tra il 249 e il 258, quando fu martirizzato al ritorno dall'esilio a Curubi per il suo ruolo nella controversia battesimale (255-57). I suoi scritti "danno un quadro vivido della vita cristiana a Cartagine, soprattutto durante le persecuzioni, e gettano luce sull'organizzazione della la Chiesa non solo in Africa dalla Mauretania alla Tripolitania, ma anche in Spagna, in Gallia e nella stessa Roma. Allo stesso tempo rivelano il carattere e le attività di Cipriano, vescovo spesso in pericolo di vita ma totalmente dedito al suo gregge, e pur essendo un capo di uomini, amato e rispettato sia dai cristiani che dai pagani, eppure oggetto di calunnie e opposizione da parte di un pugno del suo clero"
Panzer VI, 226, 391 ; VD16 C-6509 ; Van der Haeghen, Bibliotheca Erasmiana II, 23. VD16C6516
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Intorno al 246 d.C. si convertì al Cristianesimo per l’opera di un certo Cecilio presbitero e nel 248 o 249 fu consacrato vescovo della Chiesa cartaginese. Gravi eventi incombevano: nel 251 d.C. l’imperatore Decio scatenò infatti la feroce persecuzione per la quale è passato alla storia. Nel fronteggiarla Cipriano dimostrò fortezza e buon senso, nel prodigarsi nelle cure al gregge a lui affidato zelo vivissimo e carità ardente. Per mantenere unita la Chiesa e non farle mancare il suo sostegno egli si rifugiò in una località non lontana da Cartagine, ove riuscì a sfuggire alla cattura e nello stesso tempo a continuare la sua missione pastorale prestando aiuto e conforto morale e materiale. Passata la bufera, una nuova difficoltà più sottile ma non meno preoccupante si presentò sul suo cammino: la questione della riammissione dei lapsi, cioè di coloro che, dopo aver rinnegato la fede cristiana in modo più o meno grave nel momento del pericolo – vi era chi, con o senza tortura, aveva sacrificato all’imperatore e anche chi, i cosiddetti libellatici, aveva invece finto di aver apostatato acquistando un falso libellum, il certificato che attestava di averlo fatto -, chiedevano ora di rientrare nel seno della Chiesa.

Due indirizzi di pensiero si scontravano, quello rigorista, che negava la possibilità della riammissione; e quello lassista, che concedeva la riammissione senza imporre alcuna penitenza, invocando ad esempio i meriti di qualche martire. Nell’affrontare il difficile problema, che provocò ribellioni all’autorità ecclesiastica e scismi, Cipriano diede prova di equilibrio tra fermezza e carità, poiché egli dispose la riammissione dei lapsi dopo il compimento di una congrua e giusta disciplina penitenziale. Tra gli scritti ciprianei, il De lapsis descrive appunto la penitenza e le pratiche di pietà richieste agli apostati della fede durante la persecuzione.

Dopo qualche anno di calma relativa e non priva di travagli – e per la recrudescenza della persecuzione di Decio voluta da Gallo e Volusiano, e per la disputa che oppose Cipriano e la Chiesa cartaginese al Papa riguardo la validità del battesimo impartito dagli eretici, disputa che fu poi risolta definitivamente in favore della posizione della sede romana, alla quale peraltro Cipriano portò sempre obbedienza, solo grazie alla dottrina teologica elaborata da sant’Agostino – ecco però scatenarsi un’altra persecuzione ad opera dell’imperatore Valeriano. Egli nel 257-258 d.C. emanò due editti punitivi nei confronti delle proprietà e della persona dei Cristiani e se ne avvalse particolarmente contro le autorità ecclesiastiche nella convinzione che la setta cristiana, che aveva raggiunto una discreta diffusione e una buona prosperità, potesse essere vinta decapitandola e privandola dei beni.

I Papi Stefano I e Sisto II furono tra le vittime della persecuzione assieme ad altri personaggi di spicco nella Chiesa, tra i quali san Lorenzo e Dionisio di Alessandria. Anche Cipriano, ben noto al popolo come agli amministratori della provincia, fu di questi. Catturato, fu prima processato dal proconsole Aspasio Paterno e condannato all’esilio nella città di Curubis (agosto 257 d.C.); l’anno seguente fu richiamato dal successore di Paterno, Galerio Massimo, nuovamente giudicato e, per la sua irriducibilità, condannato alla morte per decapitazione il 14 settembre del 258 d.C. Esilio, condanna capitale ed esecuzione della sentenza sono raccontati in un’antica passio giunta fino a noi, sulla quale non sussistono dubbi di autenticità.

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Legatura coeva in piena pergamena. Titolo inciso in oro al dorso. Stampato in tondo e corsivo, ravvivato da belle iniziali xilografiche di vario disegno e dimensione; la grande impresa tipografica di un Hermes a tre teste che regge un caduceo appare sia al frontespizio sia al colophon. Armi nobiliari alla prima bianca, timbretto e pecetta al frontespizio. Buono stato di mantenimento dell’opera. Bella copia, completa, pulita e ordinata. Pp. (2); 18nn. 367; 4nn. (2).

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D. Caecilii Cypriani, episcopi carthaginensis &martyris, opera: per Des. Erasmum roterodamum saepius a mendis summa vigilantia repurgata, & doctissimis annotationibus ad finem adiectis, illustrata.
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