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Andrea Bianchi detto il Vespino, (act. Lombardia prima metà XVII ), Attr. - Ritratto di San Carlo Borromeo
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Andrea Bianchi detto il Vespino, (act. Lombardia prima metà XVII ), Attr. - Ritratto di San Carlo Borromeo

Andrea Bianchi detto il Vespino, attr. (attivo in Lombardia durante la prima metà del XVII secolo) Ritratto di San Carlo Borromeo Olio su ardesia, cm 37 x 27 Con pannello, cm 50 x 40 Debitore della tradizione inscritta da Giovanni Ambrogio Figino (1548-1608) con il suo Ritratto di San Carlo (1600 ca.) oggi custodito presso la Pinacoteca Ambrosiana di Milano e definito da Federico Borromeo quale la raffigurazione migliore che fosse mai stata eseguita del cugino, il presente dipinto è tuttavia riconducibile ad Andrea Bianchi meglio noto come il Vespino. La genuinamente particolare rielaborazione oggettuale del volto del santo occhieggia infatti all’iconografia comandata da Federico in occasione dell’ondata controriformistica. Parchezza e mitezza, insieme a digiuno, preghiera e ardore di santità, dovevano essere gli unici moventi alla raffigurazione del santo. Nulla di più lontano rispetto alla storiografia contemporanea che ne elogiava le imprese e l’ardimento umano, come si legge nel poema epico in esametri della Borromeide composto dal vescovo di Vercelli Giovanni Francesco Bonomi nel 1589. In previsione della solenne canonizzazione del cugino (1610), Federico promosse un libretto redatto da Cesare Bonino e contenente una doppia serie di incisioni sulla vita e i miracoli di Carlo, totalizzando una somma di 53 tavole. I cicli pittorici promossi dallo stesso Federico nel salone d’onore del Collegio Borromeo di Pavia e concretizzati da Cesare Nebbia e Federico Zuccari, insieme alla cappella di S. Carlo nel Palazzo dell’Arcivescovado milanese nonché i famosi venti teleri esposti in Duomo tra il 1602-1604, comandarono in sostanza una restituzione impeccabilmente morigerata del santo, in composta adorazione e, soprattutto, umana filiazione. Il Vespino riconsidera in questo senso un’immagine già collaudata del Santo su un cangiante supporto di ardesia. Nonostante la scarna biografia, la nota lampo che il Vespino fosse assai richiesto da parte di Federico Borromeo risulta di sorprendente importanza: fu infatti lo stesso Federico a ricordarne l'operato al proprio seguito. Interessato ai leonardeschi, entro la cui eredità si situa il Vespino, il cardinale ne commissionò la replica del cenacolo vinciano e successivamente della Vergine delle Rocce e del rinomato cartone con la Sant'Anna con la Madonna e Gesù Bambino (entrambi Londra, National Gallery). Soddisfatto dell'esecuzione, il Borromeo richiese al Vespino repliche di una Madonna con Elisabetta dal Luini e il gruppo delle tre Marie della Crocifissione in S. Maria degli Angeli a Lugano, nonché un Ritratto di giovane dal Parmigianino. Il presente si situerebbe quindi nell’ambito di queste originali ispirazioni, condensando in lingua vespiana una storia già figiana. La cornice è fornita in omaggio, di conseguenza non può essere motivo di reso o reclamo. Per i dipinti acquistati all'estero: dopo il pagamento verrà avviata la procedura per ottenere la licenza di esportazione (ALC). Tutti i pezzi d'antiquariato inviati all'estero dall'Italia hanno bisogno di questo documento, rilasciato dal Ministro dei Beni Culturali. La procedura potrebbe richiedere da 3 a 5 settimane dalla richiesta, quindi, non appena avremo il documento verrà spedito il dipinto.

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Andrea Bianchi detto il Vespino, attr. (attivo in Lombardia durante la prima metà del XVII secolo)
Ritratto di San Carlo Borromeo
Olio su ardesia, cm 37 x 27
Con pannello, cm 50 x 40

Debitore della tradizione inscritta da Giovanni Ambrogio Figino (1548-1608) con il suo Ritratto di San Carlo (1600 ca.) oggi custodito presso la Pinacoteca Ambrosiana di Milano e definito da Federico Borromeo quale la raffigurazione migliore che fosse mai stata eseguita del cugino, il presente dipinto è tuttavia riconducibile ad Andrea Bianchi meglio noto come il Vespino.
La genuinamente particolare rielaborazione oggettuale del volto del santo occhieggia infatti all’iconografia comandata da Federico in occasione dell’ondata controriformistica. Parchezza e mitezza, insieme a digiuno, preghiera e ardore di santità, dovevano essere gli unici moventi alla raffigurazione del santo. Nulla di più lontano rispetto alla storiografia contemporanea che ne elogiava le imprese e l’ardimento umano, come si legge nel poema epico in esametri della Borromeide composto dal vescovo di Vercelli Giovanni Francesco Bonomi nel 1589. In previsione della solenne canonizzazione del cugino (1610), Federico promosse un libretto redatto da Cesare Bonino e contenente una doppia serie di incisioni sulla vita e i miracoli di Carlo, totalizzando una somma di 53 tavole. I cicli pittorici promossi dallo stesso Federico nel salone d’onore del Collegio Borromeo di Pavia e concretizzati da Cesare Nebbia e Federico Zuccari, insieme alla cappella di S. Carlo nel Palazzo dell’Arcivescovado milanese nonché i famosi venti teleri esposti in Duomo tra il 1602-1604, comandarono in sostanza una restituzione impeccabilmente morigerata del santo, in composta adorazione e, soprattutto, umana filiazione.
Il Vespino riconsidera in questo senso un’immagine già collaudata del Santo su un cangiante supporto di ardesia. Nonostante la scarna biografia, la nota lampo che il Vespino fosse assai richiesto da parte di Federico Borromeo risulta di sorprendente importanza: fu infatti lo stesso Federico a ricordarne l'operato al proprio seguito. Interessato ai leonardeschi, entro la cui eredità si situa il Vespino, il cardinale ne commissionò la replica del cenacolo vinciano e successivamente della Vergine delle Rocce e del rinomato cartone con la Sant'Anna con la Madonna e Gesù Bambino (entrambi Londra, National Gallery). Soddisfatto dell'esecuzione, il Borromeo richiese al Vespino repliche di una Madonna con Elisabetta dal Luini e il gruppo delle tre Marie della Crocifissione in S. Maria degli Angeli a Lugano, nonché un Ritratto di giovane dal Parmigianino. Il presente si situerebbe quindi nell’ambito di queste originali ispirazioni, condensando in lingua vespiana una storia già figiana.

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