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FETICCIO NKISI Etnia: Songye (Repubblica Democratica del Congo) Legno, perline in pasta di vetro, fibre vegetali, corno, conchiglie, metallo I Songye ritenevano che gli spiriti dei morti, sia che fossere benevoli o malevoli, interferivano nella vita quotidiana degli individui. I feticci minkishi (sing. nkisi) venivano usati per il benessere di una comunità, assicurando la fertilità, proteggendo dalle malattie e in generale tenendo a bada le forze malevole. Il loro utilizzo rifletteva il timore che forze dirompenti potessero danneggiare l’unità del villaggio. Agendo come intercessori tra gli spiriti ancestrali e i vivi, i minkishi non erano proprietà di un singolo individuo ma destinati al beneficio dell'intera comunità. La creazione di queste opere era un evento pubblico che riuniva i componenti del villaggio, un abile intagliatore e un esperto stregone nganga che dovevano essere ben affermati nelle rispettive professioni. L’albero da cui ricavare il legno per scolpire la figura era selezionato per le sue proprietà curative o tossiche o per l’essere associato a specifici simbolismi. Una volta conclusa la scultura gli nganga assemblavano la bishimba, una potente materia composta da sostanze animali, vegetali e minerali che permetteva all’nkishi di diventare un canale per le forze spirituali. La scultura veniva quindi custodita in un apposito recinto posizionato in un luogo ben visibile come il centro del villaggio o nei pressi della casa del capo. Era curato da un guardiano interprete delle forze soprannaturali i cui messaggi venivano ricevuti attraverso sogni o possessioni. Le consultazioni collettive avvenivano in modo ricorrente, durante le celebrazioni legate all’apparizione della luna nuova, simbolo di rinascita, fertilità e ricchezza. In tali occasioni, l'nkisi era portato in processione, cosparso di sostanze apotropaiche e unto con olio di palma che conferisce la caratteristica patina lucida. Rappresentando un'identità collettiva gli nkisi avevano nomi onorifici, potevano sopravvivere generazioni e la loro esistenza essere ricordata ben dopo l’esaurimento della loro funzione. Alla fine servivano come indicatori del tempo, poiché gli eventi comunitari erano associati al periodo di attività di una specifica scultura. Bibliografia: Hersak, D., Songye Masks and Figure Sculpture. London: Ethnographica, 1995. Petridis, C., Art and power in the Central African Savanna: Luba, Songye, Tshokwe, Luluwa. Cleveland: Cleveland Museum of Art, 2008. Neyt, F., Songye: The Formidable Statuary of Central Africa. Munich: Prestel, 2009. Hersak, D., "Reviewing power, process, and statement: the case of Songye figures." African Arts vol. 43 (2010), pp. 38–51. Wardwell, A., Three African Traditions: The Art of the Dogon, Fang and Songye, Greenwich, Connecticut, 1999 Bayer, A. et al., Oude Kunst uit Afrika en Oceanie, Sint-Niklaas, Belgique, 1979 Paudrat, J.L. et al., Fragments du Vivant : sculptures africaines dans la collection Durand-Dessert, Paris, 2008, n° 133 bis e 135

Nr. 79997665

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FETICCIO NKISI
Etnia: Songye (Repubblica Democratica del Congo)
Legno, perline in pasta di vetro, fibre vegetali, corno, conchiglie, metallo


I Songye ritenevano che gli spiriti dei morti, sia che fossere benevoli o malevoli, interferivano nella vita quotidiana degli individui. I feticci minkishi (sing. nkisi) venivano usati per il benessere di una comunità, assicurando la fertilità, proteggendo dalle malattie e in generale tenendo a bada le forze malevole. Il loro utilizzo rifletteva il timore che forze dirompenti potessero danneggiare l’unità del villaggio.
Agendo come intercessori tra gli spiriti ancestrali e i vivi, i minkishi non erano proprietà di un singolo individuo ma destinati al beneficio dell'intera comunità. La creazione di queste opere era un evento pubblico che riuniva i componenti del villaggio, un abile intagliatore e un esperto stregone nganga che dovevano essere ben affermati nelle rispettive professioni. L’albero da cui ricavare il legno per scolpire la figura era selezionato per le sue proprietà curative o tossiche o per l’essere associato a specifici simbolismi. Una volta conclusa la scultura gli nganga assemblavano la bishimba, una potente materia composta da sostanze animali, vegetali e minerali che permetteva all’nkishi di diventare un canale per le forze spirituali.
La scultura veniva quindi custodita in un apposito recinto posizionato in un luogo ben visibile come il centro del villaggio o nei pressi della casa del capo. Era curato da un guardiano interprete delle forze soprannaturali i cui messaggi venivano ricevuti attraverso sogni o possessioni. Le consultazioni collettive avvenivano in modo ricorrente, durante le celebrazioni legate all’apparizione della luna nuova, simbolo di rinascita, fertilità e ricchezza. In tali occasioni, l'nkisi era portato in processione, cosparso di sostanze apotropaiche e unto con olio di palma che conferisce la caratteristica patina lucida.
Rappresentando un'identità collettiva gli nkisi avevano nomi onorifici, potevano sopravvivere generazioni e la loro esistenza essere ricordata ben dopo l’esaurimento della loro funzione. Alla fine servivano come indicatori del tempo, poiché gli eventi comunitari erano associati al periodo di attività di una specifica scultura.

Bibliografia:
Hersak, D., Songye Masks and Figure Sculpture. London: Ethnographica, 1995.
Petridis, C., Art and power in the Central African Savanna: Luba, Songye, Tshokwe, Luluwa. Cleveland: Cleveland Museum of Art, 2008.
Neyt, F., Songye: The Formidable Statuary of Central Africa. Munich: Prestel, 2009.
Hersak, D., "Reviewing power, process, and statement: the case of Songye figures." African Arts vol. 43 (2010), pp. 38–51.
Wardwell, A., Three African Traditions: The Art of the Dogon, Fang and Songye, Greenwich, Connecticut, 1999
Bayer, A. et al., Oude Kunst uit Afrika en Oceanie, Sint-Niklaas, Belgique, 1979
Paudrat, J.L. et al., Fragments du Vivant : sculptures africaines dans la collection Durand-Dessert, Paris, 2008, n° 133 bis e 135


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