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Scuola Italiana (XIX) - Ritratto della Contessa Costanza Monti Perticari
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Scuola Italiana (XIX) - Ritratto della Contessa Costanza Monti Perticari

Dipinto antico, olio su tela, di epoca databile alla prima metà del XIX secolo, raffigurante Ritratto della Contessa Costanza Monti Perticari.


 Splendida opera, in cui l'autore da prova di grande talento ed i cui richiami iconografici denotano il carattere accademico dell’effigie, nella quale la modella è evidentemente raffigurata “come Venere”. Non sorprende che le sembianze di questa donna così rappresentata riconducano a una delle figure femminili più ammirate, corteggiate e aspramente denigrate dell’Ottocento, ovvero alla contessa Costanza Monti Perticari (Roma 1792 - Ferrara 1840), unica figlia di Vincenzo Monti, poeta ufficiale dell'Italia napoleonica. La rassomiglianza alla Monti Perticari, che fu a sua volta poetessa e letterata, si evince dal raffronto con due ritratti di Filippo Agricola conservati a Roma: il dipinto del 1819 al Palazzo delle Belle Arti, al quale Vincenzo Monti dedicò un famoso sonetto, e il disegno all’Istituto Centrale per la Grafica. In questo piccolo ritratto, tuttavia, Costanza appare in età più avanzata, con il volto smagrito e sensibilmente segnato, e in effetti dovette essere dominato dall’angoscia e dalla sofferenza l’ultimo, travagliato ventennio dell’esistenza di quella sfortunata nobildonna, che a soli quarantotto anni fu stroncata da un cancro al seno. Il ritratto non può che tradursi pertanto in un commosso, intimo tributo al fascino dell’avvenente modella, oltraggiata da quell’inesorabile vulnus fisico, questo ritratto, in cui la carezza di Marte al seno della dea della bellezza è evocata dal risvolto sinuoso della scollatura in primo piano.
 Tali considerazioni portano così ad un importante riscontro cronologico per la plausibile datazione dell’opera. Nel 1837, infatti, dopo essere stata malamente operata al seno, Costanza cercò sollievo nei bagni di mare a Livorno e in soggiorni a Firenze e a Pisa. Nella capitale toscana riannodò l’affettuosa amicizia col letterato e patriota toscano Giovan Battista Niccolini, che era profondamente legato al pittore Giuseppe Bezzuoli (Firenze, 1784 –1855). Al Bezzuoli, che a Firenze fu professore di pittura, assistente e poi successore di Pietro Benvenuti all’Accademia di Belle Arti, oltre che il più celebrato ritrattista femminile, non sembrerebbe illogico attribuire questa piccola, elegante effigie tra il neoclassico e il romantico, nella quale il linguaggio pittorico esprime la sobria armonia cromatica e la “fermezza e nettezza del segno” di Giandomenico Ingres, e alla pelliccia, resa magistralmente, viene dato particolare risalto. In buone condizioni generali considerando l'epoca del dipinto, il quale appare in patina. Si notano un paio di piccoli punti di restauro, nulla comunque di particolarmente rilevante e non si segnalano difetti degni di nota. Non si evidenziano problemi di tipo conservativo. La tela originale non presenta rintelo e non sembra necessitarne. E' visibile un fine craquelè rapportato all'epoca. Il telaio sembrerebbe coevo all’opera.
 
Misure della tela: 40.5 x 33.5 cm. Opera corredata di certificato di autenticità fotografico, come da normativa di legge vigente. 

Spedizione con corriere espresso assicurato ed imballaggio eseguito con la massima cura. #directoirejanvier

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Dipinto antico, olio su tela, di epoca databile alla prima metà del XIX secolo, raffigurante Ritratto della Contessa Costanza Monti Perticari.




Splendida opera, in cui l'autore da prova di grande talento ed i cui richiami iconografici denotano il carattere accademico dell’effigie, nella quale la modella è evidentemente raffigurata “come Venere”.
Non sorprende che le sembianze di questa donna così rappresentata riconducano a una delle figure femminili più ammirate, corteggiate e aspramente denigrate dell’Ottocento, ovvero alla contessa Costanza Monti Perticari (Roma 1792 - Ferrara 1840), unica figlia di Vincenzo Monti, poeta ufficiale dell'Italia napoleonica.
La rassomiglianza alla Monti Perticari, che fu a sua volta poetessa e letterata, si evince dal raffronto con due ritratti di Filippo Agricola conservati a Roma: il dipinto del 1819 al Palazzo delle Belle Arti, al quale Vincenzo Monti dedicò un famoso sonetto, e il disegno all’Istituto Centrale per la Grafica.
In questo piccolo ritratto, tuttavia, Costanza appare in età più avanzata, con il volto smagrito e sensibilmente segnato, e in effetti dovette essere dominato dall’angoscia e dalla sofferenza l’ultimo, travagliato ventennio dell’esistenza di quella sfortunata nobildonna, che a soli quarantotto anni fu stroncata da un cancro al seno.
Il ritratto non può che tradursi pertanto in un commosso, intimo tributo al fascino dell’avvenente modella, oltraggiata da quell’inesorabile vulnus fisico, questo ritratto, in cui la carezza di Marte al seno della dea della bellezza è evocata dal risvolto sinuoso della scollatura in primo piano.
 Tali considerazioni portano così ad un importante riscontro cronologico per la plausibile datazione dell’opera. Nel 1837, infatti, dopo essere stata malamente operata al seno, Costanza cercò sollievo nei bagni di mare a Livorno e in soggiorni a Firenze e a Pisa. Nella capitale toscana riannodò l’affettuosa amicizia col letterato e patriota toscano Giovan Battista Niccolini, che era profondamente legato al pittore Giuseppe Bezzuoli (Firenze, 1784 –1855).
Al Bezzuoli, che a Firenze fu professore di pittura, assistente e poi successore di Pietro Benvenuti all’Accademia di Belle Arti, oltre che il più celebrato ritrattista femminile, non sembrerebbe illogico attribuire questa piccola, elegante effigie tra il neoclassico e il romantico, nella quale il linguaggio pittorico esprime la sobria armonia cromatica e la “fermezza e nettezza del segno” di Giandomenico Ingres, e alla pelliccia, resa magistralmente, viene dato particolare risalto.

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Misure della tela: 40.5 x 33.5 cm.

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