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Fiorenzo Tomea - Cantiere
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Fiorenzo Tomea - Cantiere

La vita di Tomea, è scandita dalle varie tappe del suo successo: le mostre, i premi, le commissioni e l'esecuzione delle grandi opere religiose. Dopo aver partecipato alla XXIII Biennale d'Arte di Venezia nel 1942 con 19 opere in una sala a lui riservata, esegue nel 1945, a Marzio, due grandi affreschi nella Chiesa parrocchiale. Nel 1958 viene inaugurata la Chiesa di Santa Barbara a Metanopoli, presso San Donato Milanese, ove l'intera parete di fondo è ricoperta da un grande "Calvario" in mosaico di Tomea commissionatogli da Enrico Mattei. Fiorenzo Tomea, ultimo di dieci figli, trascorre un'infanzia di povertà e di stenti che lo segnano profondamente. Nel 1920, morto il padre, lascia la casa paterna col fratello maggiore Giovanni e scende nelle grandi città per aiutare la famiglia, svolgendo vari e saltuari lavori. Dapprima a Milano e poi a Verona per esercitare il commercio ambulante, si iscrive ai corsi serali dell'Accademia Cignaroli, antica istituzione che formò allievi illustri come Antonio Canova, Angelo Dall'Oca Bianca e, più recentemente, Birolli e Manzù coi quali Tomea strinse amicizia. Nel 1928, spinto sempre dal proprio mestiere, Tomea torna a Milano ed entra in contatto con i giovani artisti: rivede Birolli e Manzù, conosce, tra gli altri, Sassu, Cassinari, Messina. Determinante l'incontro con Edoardo Persico, critico napoletano, giunto nel 1929 a Milano da Torino dopo l'esperienza con il gruppo dei "Sei", che fu la figura più attiva e stimolante di quel periodo e che vide nell'impronta popolare di Tomea un primitivismo libero da ogni intellettualismo, una immediata adesione, istintiva e poetica, ai valori primari dell'esistenza, un campione genuino di una esigenza di reazione e di rinnovamento rispetto al Novecento accademico e passivo, interprete dei dettami monumentalistici di regime. Persico introduce Tomea alla conoscenza delle opere di Carrà, di Rosai, della Metafisica, dell'Impressionismo francese, di Cézanne e Van Gogh allora misconosciuti in Italia. Nel 1931 è a Firenze per il servizio militare dove conosce Ottone Rosai. Quando nel 1932 Persico organizza una Mostra collettiva alla Galleria "Il Milione", Tomea partecipa con 40 disegni (piccoli paesaggi, pastori, giocatori all'osteria) insieme a Manzù, Sassu, Birolli e altri. Con i soldi racimolati con l'attività di ambulante nell'autunno del 1934 insieme all'amico Aligi Sassu soggiorna alcuni mesi a Parigi dove si innamora "subito di Delacroix, poi di Cézanne e Van Gogh" per scoprire alla fine Tiziano e capire - racconta egli stesso - "come quest'ultimo era il più grande di tutti messi insieme". Al ritorno nel 1935 si stabilisce definitivamente a Milano, abbandonando il mestiere di ambulante e dedicandosi unicamente alla sua vocazione pittorica. Inizia la stagione delle prime mostre importanti: nel 1936 espone con Manzù, Sassu e altri alla Galleria "La Cometa" di Roma; nel 1937 gli viene assegnata la Medaglia d'oro del Ministero dell'Educazione alla VIII Mostra sindacale lombarda al palazzo della Permanente di Milano; sempre alla Permanente espone alla prima Mostra del gruppo di "Corrente" - (movimento pur notevole che non porta però un decisivo sconvolgimento nella sua pittura) - inaugurata il 18 marzo 1939 e otto mesi dopo, per i soli giovani, alla galleria Grande di Via Dante; nell'ottobre del 1940 - dopo la pausa per il richiamo al servizio militare a Udine per un anno, nel 1939 - espone in una Mostra personale, a conferma della raggiunta pienezza dei mezzi espressivi, alla galleria Barbaroux di Milano. Sposatosi nel 1943, la vita di Tomea, oltre che allietata dalla nascita dei due figli, è scandita dalle varie tappe del suo successo: le mostre, i premi, le commissioni e l'esecuzione delle grandi opere religiose. Dopo aver partecipato alla XXIII Biennale d'Arte di Venezia nel 1942 con 19 opere in una sala a lui riservata, esegue nel 1945, a Marzio, due grandi affreschi nella Chiesa parrocchiale (tornati nuovamente visibili, dopo alcune traversie, solo nel 1973-74). Nel dopoguerra l'attività di Tomea si concentra su motivi che si ricollegano tutti strettamente al paese natale, con le sue povere e semplici cose, aprendo una nuova stagione della sua pittura, più serena, più chiara, indissolubilmente legata al mondo poetico delle sue montagne e della sua gente. Si affermano così le "lanterne", i "fiori", i "paesaggi cadorini" che ripropongono, con tratti assolutamente originali, i temi della religiosità e dell'infanzia. Nel 1956 ancora una volta la Biennale veneziana gli riserva una sala. Nello stesso anno è nominato Sindaco di Zoppè, carica che manterrà fino alla morte. Il 1958 è una data importante per Tomea: nel dicembre viene inaugurata la Chiesa di Santa Barbara a Metanopoli - (edificio che ospita anche lavori di altri artisti: di Giò e Arnaldo Pomodoro, di Pericle Fazzini, di Bruno Cassinari, di Franco Gentilini) - presso San Donato Milanese, ove l'intera parete di fondo è ricoperta da un grande "Calvario" in mosaico di Tomea commissionatogli da Enrico Mattei, Presidente dell'ENI e che rappresenta la summa testamentaria della sua pittura. "Vorrei riuscire a condensare lì in quella grande parete - dirà egli stesso - tutto quello che ho creato e provato: le mie sofferenze e quelle della mia gente montanara..." Il 1960 è l'ultimo anno. Aglauco Casadio, in una pausa del male che l'aveva colpito, realizza un documentario sulla vita e l'opera di Tomea che ottiene il primo premio alla III Mostra Internazionale del film sull'arte, a Venezia. Prima della morte, che avviene il 16 novembre 1960, gli vengono dedicate, come estremo riconoscimento, una mostra antologica a Torino e poi a Pieve di Cadore presso la "Magnifica Comunità Cadorina". Tomea non fu un naïf, un ingenuo interprete relegabile a livello di arte popolare o popolaresca. Il suo originale mondo pittorico, che affonda le radici in una forte immaginazione popolare, è un autentico mondo di poesia che possiede la stessa tensione morale di un Van Gogh. Per Formaggio egli è un "... pittore-poeta delle origini, del sorgere originario delle cose, della case, dei monti e degli alberi della sua Zoppè..." avvolte in un clima di dolci chiarità solari di un mondo cantato in tenere note di colore. Ma l'animo di Tomea, - ed è questo il segreto della sua pittura, continua Formaggio - "... spento il giorno, consunta la luce diurna e il suo canto insieme alle opere quotidiane... trasmutava, si riempiva di volti e di fantasmi dell'immaginario primitivo", divenendo visitatore familiare delle notti buie dell'Inconscio. Ed ecco, allora, comparire le sue famose candele, sparse su lande desolate dentro paesaggi surreali o apocalittici, i suoi pagliacci, le sue clownerie, e poi i mostri, le grottesche deformazioni dove il fatto simbolico ed allegorico si amalgama con la memoria delle tradizioni carnevalesche montanare; le maschere che sono autentiche fisionomie (che ricordano le sculture lignee popolari della fine del Quattrocento) e che si riferiscono ad una memoria contadina e montanara che si esprime dalle saghe montane fino alle scene macabre affrescate nelle chiese, dai filò alle storie raccontate davanti al focolare. Il tema del paesaggio attraversa tutta la pittura di Tomea dagli anni giovanili dell'Accademia Cignaroli sino alle ultime opere. Musei in cui sono conservate le sue opere: L’Aquila, Museo Nazionale d’Abruzzo. Teolo, Padova, Museo di arte contemporanea Dino Formaggio. Roma, Collezione di Palazzo Montecitorio. Pieve di Cadore, Belluno, Museo del Cadore. Suzzara, Mantova, Galleria Civica di Arte Contemporanea. Macerata, Pinacoteca di Palazzo Ricci. Cortina d’Ampezzo, Museo d’Arte Moderna Mario Rimordi. Chieti, Museo d’Arte Costantino Barbella. Bibliografia: Enciclopedia Universale Seda della Pittura Moderna, Milano, Seda, 1969; A. M. Comanducci, Dizionario illustrato dei Pittori, Disegnatori e Incisori Italiani Moderni e Contemporanei, Milano, Luigi Patuzzi Editore, 1972 Non sarà spedita fuori dalla comunità Europea.

Nr. 84261885

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Fiorenzo Tomea - Cantiere

Fiorenzo Tomea - Cantiere

La vita di Tomea, è scandita dalle varie tappe del suo successo: le mostre, i premi, le commissioni e l'esecuzione delle grandi opere religiose. Dopo aver partecipato alla XXIII Biennale d'Arte di Venezia nel 1942 con 19 opere in una sala a lui riservata, esegue nel 1945, a Marzio, due grandi affreschi nella Chiesa parrocchiale. Nel 1958 viene inaugurata la Chiesa di Santa Barbara a Metanopoli, presso San Donato Milanese, ove l'intera parete di fondo è ricoperta da un grande "Calvario" in mosaico di Tomea commissionatogli da Enrico Mattei.

Fiorenzo Tomea, ultimo di dieci figli, trascorre un'infanzia di povertà e di stenti che lo segnano profondamente. Nel 1920, morto il padre, lascia la casa paterna col fratello maggiore Giovanni e scende nelle grandi città per aiutare la famiglia, svolgendo vari e saltuari lavori. Dapprima a Milano e poi a Verona per esercitare il commercio ambulante, si iscrive ai corsi serali dell'Accademia Cignaroli, antica istituzione che formò allievi illustri come Antonio Canova, Angelo Dall'Oca Bianca e, più recentemente, Birolli e Manzù coi quali Tomea strinse amicizia.
Nel 1928, spinto sempre dal proprio mestiere, Tomea torna a Milano ed entra in contatto con i giovani artisti: rivede Birolli e Manzù, conosce, tra gli altri, Sassu, Cassinari, Messina. Determinante l'incontro con Edoardo Persico, critico napoletano, giunto nel 1929 a Milano da Torino dopo l'esperienza con il gruppo dei "Sei", che fu la figura più attiva e stimolante di quel periodo e che vide nell'impronta popolare di Tomea un primitivismo libero da ogni intellettualismo, una immediata adesione, istintiva e poetica, ai valori primari dell'esistenza, un campione genuino di una esigenza di reazione e di rinnovamento rispetto al Novecento accademico e passivo, interprete dei dettami monumentalistici di regime.
Persico introduce Tomea alla conoscenza delle opere di Carrà, di Rosai, della Metafisica, dell'Impressionismo francese, di Cézanne e Van Gogh allora misconosciuti in Italia.
Nel 1931 è a Firenze per il servizio militare dove conosce Ottone Rosai. Quando nel 1932 Persico organizza una Mostra collettiva alla Galleria "Il Milione", Tomea partecipa con 40 disegni (piccoli paesaggi, pastori, giocatori all'osteria) insieme a Manzù, Sassu, Birolli e altri.
Con i soldi racimolati con l'attività di ambulante nell'autunno del 1934 insieme all'amico Aligi Sassu soggiorna alcuni mesi a Parigi dove si innamora "subito di Delacroix, poi di Cézanne e Van Gogh" per scoprire alla fine Tiziano e capire - racconta egli stesso - "come quest'ultimo era il più grande di tutti messi insieme". Al ritorno nel 1935 si stabilisce definitivamente a Milano, abbandonando il mestiere di ambulante e dedicandosi unicamente alla sua vocazione pittorica. Inizia la stagione delle prime mostre importanti: nel 1936 espone con Manzù, Sassu e altri alla Galleria "La Cometa" di Roma; nel 1937 gli viene assegnata la Medaglia d'oro del Ministero dell'Educazione alla VIII Mostra sindacale lombarda al palazzo della Permanente di Milano; sempre alla Permanente espone alla prima Mostra del gruppo di "Corrente" - (movimento pur notevole che non porta però un decisivo sconvolgimento nella sua pittura) - inaugurata il 18 marzo 1939 e otto mesi dopo, per i soli giovani, alla galleria Grande di Via Dante; nell'ottobre del 1940 - dopo la pausa per il richiamo al servizio militare a Udine per un anno, nel 1939 - espone in una Mostra personale, a conferma della raggiunta pienezza dei mezzi espressivi, alla galleria Barbaroux di Milano.
Sposatosi nel 1943, la vita di Tomea, oltre che allietata dalla nascita dei due figli, è scandita dalle varie tappe del suo successo: le mostre, i premi, le commissioni e l'esecuzione delle grandi opere religiose. Dopo aver partecipato alla XXIII Biennale d'Arte di Venezia nel 1942 con 19 opere in una sala a lui riservata, esegue nel 1945, a Marzio, due grandi affreschi nella Chiesa parrocchiale (tornati nuovamente visibili, dopo alcune traversie, solo nel 1973-74).
Nel dopoguerra l'attività di Tomea si concentra su motivi che si ricollegano tutti strettamente al paese natale, con le sue povere e semplici cose, aprendo una nuova stagione della sua pittura, più serena, più chiara, indissolubilmente legata al mondo poetico delle sue montagne e della sua gente. Si affermano così le "lanterne", i "fiori", i "paesaggi cadorini" che ripropongono, con tratti assolutamente originali, i temi della religiosità e dell'infanzia.
Nel 1956 ancora una volta la Biennale veneziana gli riserva una sala. Nello stesso anno è nominato Sindaco di Zoppè, carica che manterrà fino alla morte.
Il 1958 è una data importante per Tomea: nel dicembre viene inaugurata la Chiesa di Santa Barbara a Metanopoli - (edificio che ospita anche lavori di altri artisti: di Giò e Arnaldo Pomodoro, di Pericle Fazzini, di Bruno Cassinari, di Franco Gentilini) - presso San Donato Milanese, ove l'intera parete di fondo è ricoperta da un grande "Calvario" in mosaico di Tomea commissionatogli da Enrico Mattei, Presidente dell'ENI e che rappresenta la summa testamentaria della sua pittura. "Vorrei riuscire a condensare lì in quella grande parete - dirà egli stesso - tutto quello che ho creato e provato: le mie sofferenze e quelle della mia gente montanara..."
Il 1960 è l'ultimo anno. Aglauco Casadio, in una pausa del male che l'aveva colpito, realizza un documentario sulla vita e l'opera di Tomea che ottiene il primo premio alla III Mostra Internazionale del film sull'arte, a Venezia. Prima della morte, che avviene il 16 novembre 1960, gli vengono dedicate, come estremo riconoscimento, una mostra antologica a Torino e poi a Pieve di Cadore presso la "Magnifica Comunità Cadorina".
Tomea non fu un naïf, un ingenuo interprete relegabile a livello di arte popolare o popolaresca. Il suo originale mondo pittorico, che affonda le radici in una forte immaginazione popolare, è un autentico mondo di poesia che possiede la stessa tensione morale di un Van Gogh. Per Formaggio egli è un "... pittore-poeta delle origini, del sorgere originario delle cose, della case, dei monti e degli alberi della sua Zoppè..." avvolte in un clima di dolci chiarità solari di un mondo cantato in tenere note di colore. Ma l'animo di Tomea, - ed è questo il segreto della sua pittura, continua Formaggio - "... spento il giorno, consunta la luce diurna e il suo canto insieme alle opere quotidiane... trasmutava, si riempiva di volti e di fantasmi dell'immaginario primitivo", divenendo visitatore familiare delle notti buie dell'Inconscio. Ed ecco, allora, comparire le sue famose candele, sparse su lande desolate dentro paesaggi surreali o apocalittici, i suoi pagliacci, le sue clownerie, e poi i mostri, le grottesche deformazioni dove il fatto simbolico ed allegorico si amalgama con la memoria delle tradizioni carnevalesche montanare; le maschere che sono autentiche fisionomie (che ricordano le sculture lignee popolari della fine del Quattrocento) e che si riferiscono ad una memoria contadina e montanara che si esprime dalle saghe montane fino alle scene macabre affrescate nelle chiese, dai filò alle storie raccontate davanti al focolare. Il tema del paesaggio attraversa tutta la pittura di Tomea dagli anni giovanili dell'Accademia Cignaroli sino alle ultime opere.


Musei in cui sono conservate le sue opere:

L’Aquila, Museo Nazionale d’Abruzzo.
Teolo, Padova, Museo di arte contemporanea Dino Formaggio.
Roma, Collezione di Palazzo Montecitorio.
Pieve di Cadore, Belluno, Museo del Cadore.
Suzzara, Mantova, Galleria Civica di Arte Contemporanea.
Macerata, Pinacoteca di Palazzo Ricci.
Cortina d’Ampezzo, Museo d’Arte Moderna Mario Rimordi.
Chieti, Museo d’Arte Costantino Barbella.


Bibliografia:

Enciclopedia Universale Seda della Pittura Moderna, Milano, Seda, 1969; A. M. Comanducci, Dizionario illustrato dei Pittori, Disegnatori e Incisori Italiani Moderni e Contemporanei, Milano, Luigi Patuzzi Editore, 1972

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