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Francesco Furini (1600–1646), bottega di - Carità
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Francesco Furini (1600–1646), bottega di - Carità

FRANCESCO FURINI [Bottega di] (Firenze, 1600 – 1646) Carità Olio su tela, cm. 87 x 70,5 NOTE: Pubblicazione catalogo opere della collezione Intermidiart. Opera non firmata. Certificato di Garanzia e Lecita Provenienza. Opera senza cornice: L’impostazione di questa figura è del tutto simile a quella della così detta Carità della national Gallery di Dublino (olio su tela, cm. 75 x 58) realizzata da Francesco Furini (Firenze, 1600 – 1646) tra il 1635 e il 1640, e delle repliche – del medesimo soggetto ed eseguito dalla bottega con la stessa modella – come quella conservata nei Depositi delle Galleria degli Uffizi (olio su tela cm. 68 x 61) e quella passata in vendita nella Sotheby’s di Londra (olio su tela cm. 71 x 57, 13 dicembre 1978, n. 281). La descrizione che il Ripa fa della Carità non corrisponde all’iconografia di questo quadro che vede una immagine femminile nell’atto di strizzare una mammella con la mano sinistra, mentre con la destra porge una moneta. Denominata con questo nome, l’allegoria parrebbe più consona a quella della Benignità, che però si preme le mammelle con ambe-due le mani. Comunque sia è certo che il Furini dietro l’immagine di colta e rara iconologia prende lo spunto per una sensuale rappresentazione femminile. Rivelata dalla luce, la figura emerge a mezzo busto dall’ombra del fondo, colta di tre quarti, mentre volge lo sguardo verso destra in basso. Essa si impone con la sua presenza fisica, composta entro profili ovali e caratterizzata dai decisi lineamenti del volto che si contrappongono, come in un ossimoro, alla distanza psicologica rispetto all’osservatore, marcata dall’espressione temperato e dallo sguardo che fugge di lato, sottraendosi all’incontro, come repentinamente attratto da qualcosa che non fa parte del nostro universo. L’opera che risulta un’espressione tipica del linguaggio e della poetica di Francesco Furini e della sua bottega, si caratterizza come gran parte delle pitture dell’artista, per il particolare dosaggio e di luci e ombre, per il languore sensuale della figura e per l’originale formulazione del profilo del personaggio muliebre, ricorrente, di fatto, in varie effigi dello stesso autore, per maggiori affinità morfologiche, quelle di alcune figure presenti in altri dipinti del maestro fiorentino. Ciò nonostante, la presente tela ha leggere differenze fisionomiche e dimensioni, con alcuni cedimenti di qualità che potrebbero dipendere sia dal mediocre stato conservazione sia dalla banalizzazione che di solito si riscontra nelle copie eseguite dalla bottega del maestro. Entrambi le versioni sopra citate sono datate dalla critica allo scadere degli anni Trenta del Seicento. Nato a Firenze nel 1603, Furini, dopo i primi insegnamenti artistici impartiti dal padre Filippo (pittore oggi sconosciuto), ebbe, in periodi diversi, agio di studiare a ampliare la sua preparazione professionale negli studi di alcuni dei maestri locali più qualificati del tempo, ovvero Cristofano Allori, il Passignano e Giovanni Bilivert, attraverso i quali apprese importanti nozioni pittoriche. Come molti giovani artisti a lui contemporanei anche Francesco completò la sua educazione a Roma, dove, giunto nel 1619, appare documentato per un certo periodo nella scuola del caravaggesco Bartolomeo Manfredi. Al rientro in patria, avvenuto tre anni più tardi, l’artista, dopo una prima parentesi operativa nell’entourage di Matteo Rosselli, dette inizio intorno al 1625 a un’attività autonoma, attestata, in quell’anno, dalla sua immatricolazione all’Accademia del Disegno. Rimasto stabilmente in Toscana, dopo un viaggio effettuato a Venezia nel 1629, Furini si distinse entro breve tempo per un raffinatissimo linguaggio artistico, conciliante lo studio dall’Antico con i nuovi interessi della pittura locale, nella quale non erano esenti richiami esegetici alla lezione leornardesca e correggesca. Autore di intriganti favole mitologiche, di seducenti immagini allegoriche e di eleganti raffigurazioni sacre, l’artista fu, nel corso degli anni, molto richiesto dai committenti fiorentini più esclusivi, tra i quali compaiono, non a caso, anche i più colti membri di Casa Medici. L’entrata nel mondo ecclesiastico, avvenuta nel 1633, non impedì all’artista di proseguire a ritmo incalzante la sua attività, orientata sempre più verso un tipo di pittura morbida e dolcemente sfumata, caratterizzata in gran parte da immagini languide e maliziosamente sensuali. Carico di onori, Francesco Furini, il cui stile rimase vivo negli allievi fin quasi al termine del secolo, morì nella città natale nel 1646 (per l’artista si veda soprattutto Un’altra bellezza. Francesco Furini, catalogo della mostra a cura di M. Gregori e R. Maffeis, Firenze, 2007; S. Bellesi, Catalogo dei pittori fiorentini del ‘600 e ‘700. Biografie e opere, Firenze, 2009, I, pp. 153-155 e II, figg. 691-707; G. Cantelli, Francesco Furini e i furiniani, Pontedera/Pisa, 2010). In merito al suo stato conservativo, la tela si presenta in condizioni generali abbastanza buone considerando l'epoca del dipinto, la superficie pittorica mostra una vernice in patina. Si notano – a luce di Wood – alcuni restauri sparsi e qualche leggera svelatura e ossidazione della superficie pittorica, nulla comunque di veramente rilevante. Non si evidenziano problemi di tipo conservativo e la tela originale presenta un vecchio rintelo, che non sembra necessitare di interventi. A luce solare è visibile un fine craquelé rapportato all'epoca e qualche piccola caduta di colore. Il telaio potrebbe essere stato sostituito all'epoca del rintelo. Il dipinto – di buona mano pittorica – è molto interessante sia per la sua impostazione iconografica, sia per la stesura dei colori, sinonimo di un’artista di grande qualità interpretativa, e per tale motivo, il dipinto potrebbe necessitare per ulteriori approfondimenti di studio attributivo. Le misure della tela sono cm. 87 x 70,5. Il dipinto viene ceduto senza cornice, nonostante risulta impreziosita da una pregevole cornice in legno intagliato e dorato antico (?) di grande valore (dimensione cornice, 115 x 99 x 6 ca., presenza piccole difetti). L’opera verrà spedito – in quanto fragile – con cassa di legno e polistirolo. Provenienza: Coll. Privata Pubblicazione:  Inedito;  I Miti e il Territorio nella Sicilia dalle mille culture. INEDITA QUADRERIA catalogo generale dei dipinti della collezione del ciclo “I Miti e il territorio”, Editore Lab_04, Marsala, 2024. Nel caso di vendita al di fuori del territorio italiano, l'acquirente dovrà attendere i tempi di evasione delle pratiche di esportazione.

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FRANCESCO FURINI [Bottega di]
(Firenze, 1600 – 1646)
Carità
Olio su tela, cm. 87 x 70,5


NOTE: Pubblicazione catalogo opere della collezione Intermidiart. Opera non firmata. Certificato di Garanzia e Lecita Provenienza. Opera senza cornice:

L’impostazione di questa figura è del tutto simile a quella della così detta Carità della national Gallery di Dublino (olio su tela, cm. 75 x 58) realizzata da Francesco Furini (Firenze, 1600 – 1646) tra il 1635 e il 1640, e delle repliche – del medesimo soggetto ed eseguito dalla bottega con la stessa modella – come quella conservata nei Depositi delle Galleria degli Uffizi (olio su tela cm. 68 x 61) e quella passata in vendita nella Sotheby’s di Londra (olio su tela cm. 71 x 57, 13 dicembre 1978, n. 281).
La descrizione che il Ripa fa della Carità non corrisponde all’iconografia di questo quadro che vede una immagine femminile nell’atto di strizzare una mammella con la mano sinistra, mentre con la destra porge una moneta. Denominata con questo nome, l’allegoria parrebbe più consona a quella della Benignità, che però si preme le mammelle con ambe-due le mani. Comunque sia è certo che il Furini dietro l’immagine di colta e rara iconologia prende lo spunto per una sensuale rappresentazione femminile.
Rivelata dalla luce, la figura emerge a mezzo busto dall’ombra del fondo, colta di tre quarti, mentre volge lo sguardo verso destra in basso. Essa si impone con la sua presenza fisica, composta entro profili ovali e caratterizzata dai decisi lineamenti del volto che si contrappongono, come in un ossimoro, alla distanza psicologica rispetto all’osservatore, marcata dall’espressione temperato e dallo sguardo che fugge di lato, sottraendosi all’incontro, come repentinamente attratto da qualcosa che non fa parte del nostro universo.
L’opera che risulta un’espressione tipica del linguaggio e della poetica di Francesco Furini e della sua bottega, si caratterizza come gran parte delle pitture dell’artista, per il particolare dosaggio e di luci e ombre, per il languore sensuale della figura e per l’originale formulazione del profilo del personaggio muliebre, ricorrente, di fatto, in varie effigi dello stesso autore, per maggiori affinità morfologiche, quelle di alcune figure presenti in altri dipinti del maestro fiorentino.
Ciò nonostante, la presente tela ha leggere differenze fisionomiche e dimensioni, con alcuni cedimenti di qualità che potrebbero dipendere sia dal mediocre stato conservazione sia dalla banalizzazione che di solito si riscontra nelle copie eseguite dalla bottega del maestro. Entrambi le versioni sopra citate sono datate dalla critica allo scadere degli anni Trenta del Seicento.
Nato a Firenze nel 1603, Furini, dopo i primi insegnamenti artistici impartiti dal padre Filippo (pittore oggi sconosciuto), ebbe, in periodi diversi, agio di studiare a ampliare la sua preparazione professionale negli studi di alcuni dei maestri locali più qualificati del tempo, ovvero Cristofano Allori, il Passignano e Giovanni Bilivert, attraverso i quali apprese importanti nozioni pittoriche. Come molti giovani artisti a lui contemporanei anche Francesco completò la sua educazione a Roma, dove, giunto nel 1619, appare documentato per un certo periodo nella scuola del caravaggesco Bartolomeo Manfredi. Al rientro in patria, avvenuto tre anni più tardi, l’artista, dopo una prima parentesi operativa nell’entourage di Matteo Rosselli, dette inizio intorno al 1625 a un’attività autonoma, attestata, in quell’anno, dalla sua immatricolazione all’Accademia del Disegno. Rimasto stabilmente in Toscana, dopo un viaggio effettuato a Venezia nel 1629, Furini si distinse entro breve tempo per un raffinatissimo linguaggio artistico, conciliante lo studio dall’Antico con i nuovi interessi della pittura locale, nella quale non erano esenti richiami esegetici alla lezione leornardesca e correggesca. Autore di intriganti favole mitologiche, di seducenti immagini allegoriche e di eleganti raffigurazioni sacre, l’artista fu, nel corso degli anni, molto richiesto dai committenti fiorentini più esclusivi, tra i quali compaiono, non a caso, anche i più colti membri di Casa Medici. L’entrata nel mondo ecclesiastico, avvenuta nel 1633, non impedì all’artista di proseguire a ritmo incalzante la sua attività, orientata sempre più verso un tipo di pittura morbida e dolcemente sfumata, caratterizzata in gran parte da immagini languide e maliziosamente sensuali. Carico di onori, Francesco Furini, il cui stile rimase vivo negli allievi fin quasi al termine del secolo, morì nella città natale nel 1646 (per l’artista si veda soprattutto Un’altra bellezza. Francesco Furini, catalogo della mostra a cura di M. Gregori e R. Maffeis, Firenze, 2007; S. Bellesi, Catalogo dei pittori fiorentini del ‘600 e ‘700. Biografie e opere, Firenze, 2009, I, pp. 153-155 e II, figg. 691-707; G. Cantelli, Francesco Furini e i furiniani, Pontedera/Pisa, 2010).
In merito al suo stato conservativo, la tela si presenta in condizioni generali abbastanza buone considerando l'epoca del dipinto, la superficie pittorica mostra una vernice in patina. Si notano – a luce di Wood – alcuni restauri sparsi e qualche leggera svelatura e ossidazione della superficie pittorica, nulla comunque di veramente rilevante. Non si evidenziano problemi di tipo conservativo e la tela originale presenta un vecchio rintelo, che non sembra necessitare di interventi. A luce solare è visibile un fine craquelé rapportato all'epoca e qualche piccola caduta di colore. Il telaio potrebbe essere stato sostituito all'epoca del rintelo. Il dipinto – di buona mano pittorica – è molto interessante sia per la sua impostazione iconografica, sia per la stesura dei colori, sinonimo di un’artista di grande qualità interpretativa, e per tale motivo, il dipinto potrebbe necessitare per ulteriori approfondimenti di studio attributivo. Le misure della tela sono cm. 87 x 70,5. Il dipinto viene ceduto senza cornice, nonostante risulta impreziosita da una pregevole cornice in legno intagliato e dorato antico (?) di grande valore (dimensione cornice, 115 x 99 x 6 ca., presenza piccole difetti). L’opera verrà spedito – in quanto fragile – con cassa di legno e polistirolo.

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