Nr. 84073607

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Giovanni Vico - La Pratica Vniversale - 1576
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Giovanni Vico - La Pratica Vniversale - 1576

In-8° (206 x 150 mm.), pp. (8), 307, (1), bella marca tipografia al frontespizio e al colophon, caratteri in corsivo romano, testo su due colonne, bei capolettera e testatine in xilografia, alle ultime pagine xilografie n.t. raffigurani strumenti chirurgici. Legatura coeva in piena pergamena floscia. Firma di appartenenza cassata al frontespizio, note manoscritte ai fogli di guardia. Leggera gora di umidità al margine superiore delle prime 30 carte. Giovanni da Vigo (Rapallo, 1450 Roma, 1525) è stato un medico e chirurgo italiano. A Savona, dove si trasferì conobbe ed entrò nelle grazie del cardinale Giuliano Della Rovere che, eletto papa nel 1503 col nome di Giulio II, lo volle con sé a Roma come suo chirurgo colmandolo di ricchezze ed onori. Su richiesta dei suoi amici, più che per sua personale iniziativa, come il D. tiene a precisare nel Prohemium, pose mano alla stesura della Practica in Chirurgia. Copiosa inarte chirurgica. che fu compiuta nell'arco di undici anni, dal 1503 al 1514, anno in cui uscì in una elegante edizione a Roma. La Practica in chirurgia copiosa è divisa in nove libri: De anathomia; De apostematibus; De vulneribus; De uiceribus; De morbo gallico et iuncturarum doloribus; De fractura et dislocatione; De natura iimplicium et eorum posse; Antidotarium de resolutivis, maturativis, repercussivis simplicibus et compositis ac nonnullis aliis secretis nostris . ; De nonnullis additionibus pro operis complemento (si tratta delle febbri dei naviganti, dei coito e dei problemi ad esso connessi, de maleficiatibus, dei capelli e dell'adatto trattamento per evitarne licaduta, l'imbiancamento, e. numerosi altri problemi). A unanime parere, degli storici della medicina, in essa sono contenute scoperte ed intuizioni di grande importanza. Il D. vi afferma il valore dei metodo empirico sperimentale, della diretta osservazione dei corpi e dello studio dei cadaveri. Notevoli sono le sue opinioni attorno al cervello umano che egli sostiene essere in relazione con la massa del corpo e che considera fonte di molte operazioni come immaginazione, intellezione, memoria, abbozzandone una localizzazione. Interessanti sono gli accenni alla circolazione dei sangue e molto importante, per il seguito che ebbe, il suo metodo per legare le vene e le arterie. Larga fortuna godettero i suoi suggerimenti farinacologici per la cura delle ferite sia interni e che esterne e, a questo riguardò, particolarmente importante è stato considerato il libro terzo De vulneribus dove egli riassume gli esiti delle sue esperienze nel campo delle ferite causate da arma da fuoco. Per le lesioni dei cranio praticava la trapanazione con strumenti di sua invenzione e per la cura del cancro prevedeva l'estirpazione con tutte le sue radici e vene. Nel libro settimo fornì poi una ricca rassegna in ordine alfabetico delle piante medicinali di cui descrisse con minuziosità virtù e caratteristiche, dando prova delle sue notevoli conoscenze in fatto di botanica. Diede altresì un contributo fondamentale alla diagnosi e terapia della sifilide per cui prescriveva l'impiego del mercurio. Larghissima fu la fortuna di quest'opera che conobbe una quarantina di edizioni e traduzioni. garantisco una spedizione veloce in 5-6 giorni lavorativi in ogni parte del mondo, o se lo preferite do la mia disponibilità per il ritiro a mano.

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In-8° (206 x 150 mm.), pp. (8), 307, (1), bella marca tipografia al frontespizio e al colophon, caratteri in corsivo romano, testo su due colonne, bei capolettera e testatine in xilografia, alle ultime pagine xilografie n.t. raffigurani strumenti chirurgici. Legatura coeva in piena pergamena floscia. Firma di appartenenza cassata al frontespizio, note manoscritte ai fogli di guardia. Leggera gora di umidità al margine superiore delle prime 30 carte. Giovanni da Vigo (Rapallo, 1450 Roma, 1525) è stato un medico e chirurgo italiano. A Savona, dove si trasferì conobbe ed entrò nelle grazie del cardinale Giuliano Della Rovere che, eletto papa nel 1503 col nome di Giulio II, lo volle con sé a Roma come suo chirurgo colmandolo di ricchezze ed onori. Su richiesta dei suoi amici, più che per sua personale iniziativa, come il D. tiene a precisare nel Prohemium, pose mano alla stesura della Practica in Chirurgia. Copiosa inarte chirurgica. che fu compiuta nell'arco di undici anni, dal 1503 al 1514, anno in cui uscì in una elegante edizione a Roma.


La Practica in chirurgia copiosa è divisa in nove libri: De anathomia; De apostematibus; De vulneribus; De uiceribus; De morbo gallico et iuncturarum doloribus; De fractura et dislocatione; De natura iimplicium et eorum posse; Antidotarium de resolutivis, maturativis, repercussivis simplicibus et compositis ac nonnullis aliis secretis nostris . ; De nonnullis additionibus pro operis complemento (si tratta delle febbri dei naviganti, dei coito e dei problemi ad esso connessi, de maleficiatibus, dei capelli e dell'adatto trattamento per evitarne licaduta, l'imbiancamento, e. numerosi altri problemi). A unanime parere, degli storici della medicina, in essa sono contenute scoperte ed intuizioni di grande importanza. Il D. vi afferma il valore dei metodo empirico sperimentale, della diretta osservazione dei corpi e dello studio dei cadaveri.


Notevoli sono le sue opinioni attorno al cervello umano che egli sostiene essere in relazione con la massa del corpo e che considera fonte di molte operazioni come immaginazione, intellezione, memoria, abbozzandone una localizzazione. Interessanti sono gli accenni alla circolazione dei sangue e molto importante, per il seguito che ebbe, il suo metodo per legare le vene e le arterie. Larga fortuna godettero i suoi suggerimenti farinacologici per la cura delle ferite sia interni e che esterne e, a questo riguardò, particolarmente importante è stato considerato il libro terzo De vulneribus dove egli riassume gli esiti delle sue esperienze nel campo delle ferite causate da arma da fuoco. Per le lesioni dei cranio praticava la trapanazione con strumenti di sua invenzione e per la cura del cancro prevedeva l'estirpazione con tutte le sue radici e vene.


Nel libro settimo fornì poi una ricca rassegna in ordine alfabetico delle piante medicinali di cui descrisse con minuziosità virtù e caratteristiche, dando prova delle sue notevoli conoscenze in fatto di botanica. Diede altresì un contributo fondamentale alla diagnosi e terapia della sifilide per cui prescriveva l'impiego del mercurio. Larghissima fu la fortuna di quest'opera che conobbe una quarantina di edizioni e traduzioni.

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