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Cerchia di Giovanni Paolo Castelli detto Spadino (1659 – 1730) - Natura morta
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Cerchia di Giovanni Paolo Castelli detto Spadino (1659 – 1730) - Natura morta

Cerchia di Giovanni Paolo Castelli detto Spadino (Roma, 1659 – 1730) Natura morta Olio su tela, cm 33,5 x 42 - Con cornice, cm 46,5 x 55,5 Un fruttata tela raffigurante nature morte offre turgide primizie autunnali, generosamente acquose nella loro pienezza matura. A vellutate pesche si accostano ricercati grappoli d’uva bianca, con fichi spaccati; è possibile scorgere una foglia d’acero, sottile come un velo, che ricopre con estrema delicatezza il gruzzolo di fichi, a proteggere i frutti della terra. La particolare setosità che ricopre i grappoli d’uva, lattiginosa nell’accorpamento degli acini, consente di ravvicinare il presente artista all’opera dello Spadino, naturamorfista romano lungamente apprezzato. Le ricerche archivistiche hanno permesso di distinguere tre pittori della famiglia Castelli, specializzata nel genere della natura morta: i due fratelli Bartolomeo (detto il Vecchio) e Giovanni Paolo (detto lo Spadino) e il di questi figlio, Bartolomeo il Giovane, anch'esso soprannominato Spadino. In particolare, è stato grazie a Federico Zeri negli anni Cinquanta che si è iniziato a specificare progressivamente il nucleo di Nature morte in Collezione Spada a Roma, identificate genericamente come “Spadino”, e assegnandone quattro alla mano del giovane Bartolomeo (si ricordi la Natura morta con uva, mele e fichi e Natura morta con pesche, cm 13 x 29,5, Galleria Spada). Le varianti assai scure dell’anziano “Spadavecchio” sono state un elemento discriminante nel distinguere la mano di Giovanni Paolo Castelli da quella dei famigliari (Ferdinando Bologna, Natura in posa. Aspetti dell’antica natura morta italiana, 1968 e Luigi Salerno, Nuovi studi sulla natura morta italiana e Nature morte di frutta, 1989). Erede di una tradizione già elaborata, Giovanni Paolo reinterpreta con pesato senso di franchezza la semplicità più genuina dei frutti ritratti. Opponendosi alla duplice tentazione del realismo e dell’esuberanza inventiva, lo Spadino si dedicò alla pittura di frutti, più che fiori, animali, vasellame, vetri o argenti, per evocare il lusso degli uomini e la suntuosità della natura, facendo spiccare un sintomatico gusto per l’abbondanza e lo splendore unito al senso della precarietà della vegetazione. Formatosi entro il brillante clima del naturamorfismo del Campidoglio, lo Spadino non scordò mai le suggestioni derivanti dal fiammingo Abraham Brueghel, che aveva segnato segnando l'evoluzione del genere nel secondo Seicento, e nemmeno dal tedesco Christian Berentz, in Italia dal 1689. L’analisi dell’apparecchiatura naturale attraverso repentine svolte di colore, viranti dallo scuro a laghi di luce, come accade nei presenti, derivò infatti da questa particolare virgola oltramontana, stabilitasi nella capitale e fortemente influenzantene il contesto. È possibile raffrontare la presente composizione, per gli accorti frutti scelti e per la disposizione longilinea, concretamente ravvicinata nei pezzi raffigurati, con diverse opere realizzate dallo Spadino e oggi in collezione privata. Si citino anche le sue nature oggi nelle collezioni del Museo Bardini di Firenze, Raccamadoro Ramelli (Fermo), Galleria Spada (Roma). La cornice è fornita in omaggio, di conseguenza non può essere motivo di reso o reclamo. Per i dipinti acquistati all'estero: dopo il pagamento verrà avviata la procedura per ottenere la licenza di esportazione (ALC). Tutti i pezzi d'antiquariato inviati all'estero dall'Italia hanno bisogno di questo documento, rilasciato dal Ministro dei Beni Culturali. La procedura potrebbe richiedere da 2 a 4 settimane dalla richiesta, quindi, non appena avremo il documento verrà spedito il dipinto.

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Cerchia di Giovanni Paolo Castelli detto Spadino (Roma, 1659 – 1730)
Natura morta
Olio su tela, cm 33,5 x 42 - Con cornice, cm 46,5 x 55,5

Un fruttata tela raffigurante nature morte offre turgide primizie autunnali, generosamente acquose nella loro pienezza matura. A vellutate pesche si accostano ricercati grappoli d’uva bianca, con fichi spaccati; è possibile scorgere una foglia d’acero, sottile come un velo, che ricopre con estrema delicatezza il gruzzolo di fichi, a proteggere i frutti della terra. La particolare setosità che ricopre i grappoli d’uva, lattiginosa nell’accorpamento degli acini, consente di ravvicinare il presente artista all’opera dello Spadino, naturamorfista romano lungamente apprezzato.
Le ricerche archivistiche hanno permesso di distinguere tre pittori della famiglia Castelli, specializzata nel genere della natura morta: i due fratelli Bartolomeo (detto il Vecchio) e Giovanni Paolo (detto lo Spadino) e il di questi figlio, Bartolomeo il Giovane, anch'esso soprannominato Spadino. In particolare, è stato grazie a Federico Zeri negli anni Cinquanta che si è iniziato a specificare progressivamente il nucleo di Nature morte in Collezione Spada a Roma, identificate genericamente come “Spadino”, e assegnandone quattro alla mano del giovane Bartolomeo (si ricordi la Natura morta con uva, mele e fichi e Natura morta con pesche, cm 13 x 29,5, Galleria Spada). Le varianti assai scure dell’anziano “Spadavecchio” sono state un elemento discriminante nel distinguere la mano di Giovanni Paolo Castelli da quella dei famigliari (Ferdinando Bologna, Natura in posa. Aspetti dell’antica natura morta italiana, 1968 e Luigi Salerno, Nuovi studi sulla natura morta italiana e Nature morte di frutta, 1989). Erede di una tradizione già elaborata, Giovanni Paolo reinterpreta con pesato senso di franchezza la semplicità più genuina dei frutti ritratti. Opponendosi alla duplice tentazione del realismo e dell’esuberanza inventiva, lo Spadino si dedicò alla pittura di frutti, più che fiori, animali, vasellame, vetri o argenti, per evocare il lusso degli uomini e la suntuosità della natura, facendo spiccare un sintomatico gusto per l’abbondanza e lo splendore unito al senso della precarietà della vegetazione.
Formatosi entro il brillante clima del naturamorfismo del Campidoglio, lo Spadino non scordò mai le suggestioni derivanti dal fiammingo Abraham Brueghel, che aveva segnato segnando l'evoluzione del genere nel secondo Seicento, e nemmeno dal tedesco Christian Berentz, in Italia dal 1689. L’analisi dell’apparecchiatura naturale attraverso repentine svolte di colore, viranti dallo scuro a laghi di luce, come accade nei presenti, derivò infatti da questa particolare virgola oltramontana, stabilitasi nella capitale e fortemente influenzantene il contesto.
È possibile raffrontare la presente composizione, per gli accorti frutti scelti e per la disposizione longilinea, concretamente ravvicinata nei pezzi raffigurati, con diverse opere realizzate dallo Spadino e oggi in collezione privata. Si citino anche le sue nature oggi nelle collezioni del Museo Bardini di Firenze, Raccamadoro Ramelli (Fermo), Galleria Spada (Roma).

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