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Guido Cagnacci (1601-1662), ambito di - Sant'Antonio da Padova
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Guido Cagnacci (1601-1662), ambito di - Sant'Antonio da Padova

GUIDO CAGNACCI [Ambito] (Santarcangelo di Romagna, 1601 - Vienna, 1662) Sant’Antonio da Padova Olio su tela, cm. 79 x 65 NOTE: Pubblicazione catalogo opere della collezione Intermidiart. Certificato di Garanzia e Lecita Provenienza. Opera senza cornice: Il dipinto, inedito, illustra una figura di santo, nell’atto della preghiera, rappresentato dalla scena di Sant’Antonio da Padova, che ebbe ampia diffusione già nel secolo XVI-XVII, ispirando molti artisti e pittori italiani. L’iconografia di sant'Antonio da Padova presenta molte varianti con diversi attributi comparsi nel tempo: la giovinezza, il saio, il libro, Gesù Bambino, il giglio, la fiamma, il cuore e il pane. Essi esprimono sia una caratteristica della sua personalità (funzione di memoria), sia i doni e le qualità che gli hanno attribuito la devozione popolare (funzione simbolica). L’opera, pertanto, raffigura un’icona antoniana di grande successo, dove vede il Santo nei panni di giovane devoto, sembra essere inginocchiato all’interno di un monastero o chiesa, con lo sguardo rivolto verso l’alto, nell’atto della preghiera verso il Signore. La narrazione, infatti, è organizzata intorno alla figura del Santo, occupando una posizione quasi centrale, e dai suoi attributi, come: la giovinezza, simbolo di un personaggio ideale, puro, buono e accogliente a tutti; e il saio bruno, unica costante di tutte le rappresentazioni antoniane; e il cinto dalla corda con i tre nodi, simbolo di povertà, castità e obbedienza all’ordine francescano. Di lato a destra, un inginocchiatoio con dei fiori rappresentato dagli gigli: simbolo della sua purezza e la lotta contro il male; alle spalle, sullo sfondo c’è uno scenario tipico della scuola meridionale, composto dall’architettura di un interno di un monastero o chiesa. La figura presenta un grande gesto di azione, conducendo l’attenzione dello spettatore nella figura del Santo Antonio, ritta in ginocchio e con gli occhi rivolti al cielo, e con le mani dagli incarnati perlacei, quasi congiunte nell’attitudine di un’interazione (preghiera) col Signore. Il dipinto – proveniente da una nota casa d’asta italiana – recava un'attribuzione collezionistica ad un pittore di scuola napoletana del XVII secolo (Asta Farsetti), ed erroneamente – in questa sede – nella cerchia di Giovan Battista Carracciolo, detto Battistello (Napoli, 1578 – 1635). Successivamente – su suggerimento dello storico Micheli Danieli – la tela in esame, per i caratteri generali dell’immagine, le cromie e la tipologia del volto sembrerebbero pertinenti alla maniera di Guido Cagnacci (Santarcangelo di Romagna, 1601 - Vienna, 1662). Secondo l’indagine – dello storico – la tela, seppure di dimensioni minori, è evidente copia del più celebre dipinto di Guido Cagnacci conservato sull'altare sinistro della cappella della Madonna del Fuoco, di giuspatronato della famiglia Morattini Monsignani, nel Duomo di Forlì, eseguito nel 1642-1642. Le condizioni di conservazione della tela in oggetto, con depositi di polvere e possibile ossidazione dei colori, non permettono di valutarne le qualità pittoriche (per certo non elevate) né di leggere i dettagli della composizione. Rispetto all'originale, l'esecutore – date le minori dimensioni della tela, forse destinata a una devozione privata – riprodotto la 'descrizione' dell'ambiente in cui si svolge la scena della predicazione del Santo: così viene riprodotta la 'macchina' marmorea del pulpito, resa dal Cagnacci con ardito scorcio prospettico; manca la straordinaria resa del piede del Santo che fuoriesce dal piano del pavimento e 'sfonda' la bidimensionalità della tela conferendo profondità alla composizione; con cenno allo sfondo architettonico, con il susseguirsi di volte e di archi. Nel 1761 l'Algarotti ebbe a descrivere il "Sant'Antonio" del Cagnacci con queste parole: “Pochi quadri ho veduto che figurino il vero così vivamente, come fa questo, e tengano così fortemente attaccato lo spettatore. È colorito che meglio non si può. ... la faccia del Santo è bella insieme e divota”. Per certo la modesta copia in oggetto resta a testimonianza della vivissima devozione al Santo in terra di Romagna, come ha ben evidenziato Anna Colombi Ferretti: “prima di trasferirsi a Padova, Sant'Antonio ebbe un legame molto diretto con l'eremo di Montepaolo, non lontano da Forlì, e con la stessa città, nella cui cattedrale ebbe modo di manifestarsi per la prima volta il suo raro talento di predicatore” (Dipinti d'altare in età di Controriforma in Romagna, 1560-1650, opere restaurate dalle Diocesi di Faenza, Forlì, Cesena e Rimini a cura di A. Colombi Ferretti, Bologna 1982, pp. 60-62). Di qui la straordinaria fortuna del quadro del Cagnacci, in ambito non solo locale, attestata dal cospicuo numero di copie a noi pervenute. Come per la nostra tela, si tratta prevalentemente di quadri di ridotte dimensioni, talora di desunzioni parziali, nessuna di queste di qualità tale da fare ipotizzare la presenza di una copia replicata dallo stesso Cagnacci. Vale, quindi, il giudizio del Malvasia, ripreso da Giordano Viroli nella scheda del catalogo dato alle stampe in occasione della recente mostra forlivese (Guido Cagnacci. Protagonista del Seicento tra Caravaggio e Reni, a cura di D. Benati e A. Paolucci, Cinisello Balsamo 2008, pp. 238-239); a proposito del pittore forlivese Petrelli, impegnato nella replica della testa del Sant'Antonio del Cagnacci in numerose tele di piccole dimensioni, il Malvasia chiosa: “e per farne tanti v'avea preso una franchezza, che sembravan tutti originali”. Non si può escludere, pertanto – come suggerito dallo storico – l'ipotesi che l'autore possa essere, un seguace o cerchia del maestro Cagnacci. La superficie pittorica si presenta in patina, e non mostra difficoltà di lettura. Si notano – a luce di Wood – alcuni piccoli restauri sparsi, nulla comunque di veramente rilevante. A rafforzare la conferma qualitativa dell’opera, abbiamo di recente sottoposto la tela a un cauto intervento di pulitura presso il gabinetto di restauro del Prof. Gaetano Eduardo Alagna, dove, opportunatamente, si è limitato alla rimozione dello sporco superficiale e un’applicazione di un leggero film opaco che ha perfezionato la leggibilità dell’opera, destabilizzata da restauri precedenti. L’intervento, dunque, si è limitato alla rimozione dell’equilibrio dei valori cromatici e chiaroscurali del film pittorico. Il dipinto è rintelato. All’esame con la luce UV si nota alcuni micro-restauri sul volto del santo, uno sotto la fine della bocca e uno sull’incavo dell’occhio destro. Una rivelatura sul collo del santo, alcuni restauri puntiformi sulle mani. A luce solare è visibile un fine craquelé rapportato all'epoca. Il presente dipinto riveste un notevole interesse perché ci obbliga a riconsiderare l’autografia in direzione del pittore sopra citato, rinviando in prossimo futuro gli approfondimenti sull’opera. Le misure della tela sono cm. 79 x 65. Il dipinto viene ceduto senza cornice, nonostante risulta incorniciato in una cornice di buona fattura dorata e lavorata (dimensione cornice cm. 99 x 85 x 8 ca., presenza piccoli difetti). Provenienza: Coll. privata Siciliana Pubblicazione:  Inedito;  I Miti e il Territorio nella Sicilia dalle mille culture. INEDITA QUADRERIA catalogo generale dei dipinti della collezione del ciclo “I Miti e il territorio”, Editore Lab_04, Marsala, 2024. Spedizione in cassa di legno (tavola fragile). Nel caso di vendita al di fuori del territorio italiano, l'acquirente dovrà attendere i tempi di evasione delle pratiche di esportazione.

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Guido Cagnacci (1601-1662), ambito di - Sant'Antonio da Padova

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GUIDO CAGNACCI [Ambito]
(Santarcangelo di Romagna, 1601 - Vienna, 1662)
Sant’Antonio da Padova
Olio su tela, cm. 79 x 65


NOTE: Pubblicazione catalogo opere della collezione Intermidiart. Certificato di Garanzia e Lecita Provenienza. Opera senza cornice:

Il dipinto, inedito, illustra una figura di santo, nell’atto della preghiera, rappresentato dalla scena di Sant’Antonio da Padova, che ebbe ampia diffusione già nel secolo XVI-XVII, ispirando molti artisti e pittori italiani. L’iconografia di sant'Antonio da Padova presenta molte varianti con diversi attributi comparsi nel tempo: la giovinezza, il saio, il libro, Gesù Bambino, il giglio, la fiamma, il cuore e il pane. Essi esprimono sia una caratteristica della sua personalità (funzione di memoria), sia i doni e le qualità che gli hanno attribuito la devozione popolare (funzione simbolica).
L’opera, pertanto, raffigura un’icona antoniana di grande successo, dove vede il Santo nei panni di giovane devoto, sembra essere inginocchiato all’interno di un monastero o chiesa, con lo sguardo rivolto verso l’alto, nell’atto della preghiera verso il Signore.
La narrazione, infatti, è organizzata intorno alla figura del Santo, occupando una posizione quasi centrale, e dai suoi attributi, come: la giovinezza, simbolo di un personaggio ideale, puro, buono e accogliente a tutti; e il saio bruno, unica costante di tutte le rappresentazioni antoniane; e il cinto dalla corda con i tre nodi, simbolo di povertà, castità e obbedienza all’ordine francescano. Di lato a destra, un inginocchiatoio con dei fiori rappresentato dagli gigli: simbolo della sua purezza e la lotta contro il male; alle spalle, sullo sfondo c’è uno scenario tipico della scuola meridionale, composto dall’architettura di un interno di un monastero o chiesa. La figura presenta un grande gesto di azione, conducendo l’attenzione dello spettatore nella figura del Santo Antonio, ritta in ginocchio e con gli occhi rivolti al cielo, e con le mani dagli incarnati perlacei, quasi congiunte nell’attitudine di un’interazione (preghiera) col Signore.
Il dipinto – proveniente da una nota casa d’asta italiana – recava un'attribuzione collezionistica ad un pittore di scuola napoletana del XVII secolo (Asta Farsetti), ed erroneamente – in questa sede – nella cerchia di Giovan Battista Carracciolo, detto Battistello (Napoli, 1578 – 1635). Successivamente – su suggerimento dello storico Micheli Danieli – la tela in esame, per i caratteri generali dell’immagine, le cromie e la tipologia del volto sembrerebbero pertinenti alla maniera di Guido Cagnacci (Santarcangelo di Romagna, 1601 - Vienna, 1662).
Secondo l’indagine – dello storico – la tela, seppure di dimensioni minori, è evidente copia del più celebre dipinto di Guido Cagnacci conservato sull'altare sinistro della cappella della Madonna del Fuoco, di giuspatronato della famiglia Morattini Monsignani, nel Duomo di Forlì, eseguito nel 1642-1642.
Le condizioni di conservazione della tela in oggetto, con depositi di polvere e possibile ossidazione dei colori, non permettono di valutarne le qualità pittoriche (per certo non elevate) né di leggere i dettagli della composizione. Rispetto all'originale, l'esecutore – date le minori dimensioni della tela, forse destinata a una devozione privata – riprodotto la 'descrizione' dell'ambiente in cui si svolge la scena della predicazione del Santo: così viene riprodotta la 'macchina' marmorea del pulpito, resa dal Cagnacci con ardito scorcio prospettico; manca la straordinaria resa del piede del Santo che fuoriesce dal piano del pavimento e 'sfonda' la bidimensionalità della tela conferendo profondità alla composizione; con cenno allo sfondo architettonico, con il susseguirsi di volte e di archi. Nel 1761 l'Algarotti ebbe a descrivere il "Sant'Antonio" del Cagnacci con queste parole: “Pochi quadri ho veduto che figurino il vero così vivamente, come fa questo, e tengano così fortemente attaccato lo spettatore. È colorito che meglio non si può. ... la faccia del Santo è bella insieme e divota”. Per certo la modesta copia in oggetto resta a testimonianza della vivissima devozione al Santo in terra di Romagna, come ha ben evidenziato Anna Colombi Ferretti: “prima di trasferirsi a Padova, Sant'Antonio ebbe un legame molto diretto con l'eremo di Montepaolo, non lontano da Forlì, e con la stessa città, nella cui cattedrale ebbe modo di manifestarsi per la prima volta il suo raro talento di predicatore” (Dipinti d'altare in età di Controriforma in Romagna, 1560-1650, opere restaurate dalle Diocesi di Faenza, Forlì, Cesena e Rimini a cura di A. Colombi Ferretti, Bologna 1982, pp. 60-62). Di qui la straordinaria fortuna del quadro del Cagnacci, in ambito non solo locale, attestata dal cospicuo numero di copie a noi pervenute. Come per la nostra tela, si tratta prevalentemente di quadri di ridotte dimensioni, talora di desunzioni parziali, nessuna di queste di qualità tale da fare ipotizzare la presenza di una copia replicata dallo stesso Cagnacci. Vale, quindi, il giudizio del Malvasia, ripreso da Giordano Viroli nella scheda del catalogo dato alle stampe in occasione della recente mostra forlivese (Guido Cagnacci. Protagonista del Seicento tra Caravaggio e Reni, a cura di D. Benati e A. Paolucci, Cinisello Balsamo 2008, pp. 238-239); a proposito del pittore forlivese Petrelli, impegnato nella replica della testa del Sant'Antonio del Cagnacci in numerose tele di piccole dimensioni, il Malvasia chiosa: “e per farne tanti v'avea preso una franchezza, che sembravan tutti originali”.
Non si può escludere, pertanto – come suggerito dallo storico – l'ipotesi che l'autore possa essere, un seguace o cerchia del maestro Cagnacci.
La superficie pittorica si presenta in patina, e non mostra difficoltà di lettura. Si notano – a luce di Wood – alcuni piccoli restauri sparsi, nulla comunque di veramente rilevante. A rafforzare la conferma qualitativa dell’opera, abbiamo di recente sottoposto la tela a un cauto intervento di pulitura presso il gabinetto di restauro del Prof. Gaetano Eduardo Alagna, dove, opportunatamente, si è limitato alla rimozione dello sporco superficiale e un’applicazione di un leggero film opaco che ha perfezionato la leggibilità dell’opera, destabilizzata da restauri precedenti. L’intervento, dunque, si è limitato alla rimozione dell’equilibrio dei valori cromatici e chiaroscurali del film pittorico. Il dipinto è rintelato. All’esame con la luce UV si nota alcuni micro-restauri sul volto del santo, uno sotto la fine della bocca e uno sull’incavo dell’occhio destro. Una rivelatura sul collo del santo, alcuni restauri puntiformi sulle mani. A luce solare è visibile un fine craquelé rapportato all'epoca. Il presente dipinto riveste un notevole interesse perché ci obbliga a riconsiderare l’autografia in direzione del pittore sopra citato, rinviando in prossimo futuro gli approfondimenti sull’opera. Le misure della tela sono cm. 79 x 65. Il dipinto viene ceduto senza cornice, nonostante risulta incorniciato in una cornice di buona fattura dorata e lavorata (dimensione cornice cm. 99 x 85 x 8 ca., presenza piccoli difetti).

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