Questa geode proviene dall’Uruguay, da quelle stesse cavità basaltiche del Cretaceo inferiore che hanno dato origine ai più raffinati paesaggi silicei del Sud America. Qui, però, l’ametista non sceglie la forma classica del prisma euedrale: preferisce manifestarsi attraverso una crescita botrioidale compatta, densa di microcristalli, che ricopre la superficie interna come un manto di vino leggero solidificato. Il colore – un vinaccia tenue, quasi polvere di malva – è il risultato della presenza discreta ma costante di ferro trivalente nelle acque idrotermali che circolavano nella cavità. L’intensità cromatica, però, non è distribuita in modo uniforme: come spesso accade nelle geodi uruguaiane, la tonalità emerge per gradienti, seguendo la storia stessa della precipitazione silicea. Ogni ondulazione, ogni rilievo botrioidale, racconta un cambiamento di temperatura, una variazione nella concentrazione dei soluti, una pausa improvvisa nel flusso idrotermale. La base esterna, un guscio di agata multistrato, conserva il ricordo della bolla basaltica originaria: bande verdi, giallastre, talvolta ossidate, segnano le onde chimiche che hanno preceduto l'ingresso della silice.