Francesco Petrarca - Codice Queiriano di Brescia - 1470-1995





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Descrizione del venditore
Francesco Petrarca. Ristampa anastatica del Codice Queiriano di Brescia (Inc. G. V. 15). Le 51 pagine mancanti sono riprodotte dal Codice della Biblioteca Trivulziana di Milano. Cm 27 x 19, legatura in tutta pelle con fregi in oro, pagine 300. In ottimo stato. In asta senza riserva.
Il Petrarca queriniano è un importante incunabolo miniato del Canzoniere e dei Trionfi di Francesco Petrarca, conservato presso la Biblioteca Civica Queriniana di Brescia. È considerato un unicum nella storia delle edizioni petrarchesche per la sua ricchezza e originalità dell'apparato illustrativo. L'esemplare è un'edizione stampata a Venezia nel 1470 da Vindelino da Spira. Ogni componimento poetico (i Rerum vulgarium fragmenta) è corredato da proprie miniature, un fatto eccezionale per l'epoca, che offre un'interpretazione visiva del testo.
Il "Dilettante Queriniano": Il miniatore, identificato da alcuni studiosi con Antonio Grifo, è noto come il "Dilettante Queriniano". Le sue illustrazioni si ispirano alla società e alla moda del suo tempo (fine XV secolo), pur tenendo conto dei versi di Petrarca, e talvolta offrono un'interpretazione personale e a tratti dissacrante della figura di Laura.
Questo esemplare è quindi un documento di grande importanza per comprendere la ricezione e l'interpretazione visiva dell'opera di Petrarca nel Quattrocento.
Giovanni e Vindelino da Spira (Johann e Wendelin von Speyer; Spira, XV secolo – Venezia, XV secolo) sono stati due tipografi tedeschi, attivi nel XV secolo, famosi per aver introdotto la stampa a caratteri mobili a Venezia.
Biografia
Dopo aver appreso l'arte della stampa a caratteri mobili a Magonza i due fratelli emigrarono in Italia. Arrivati a Venezia, impiantarono il primo torchio tipografico nella città lagunare.
Avviarono subito la produzione: il primo volume stampato dai due fratelli furono le Epistulae ad familiares di Cicerone.[1] Sempre nel 1469 Giovanni stampò l'editio princeps della Naturalis historia di Plinio il Vecchio. Per quest'opera i due fratelli chiesero e ottennero dalle autorità veneziane il privilegio, in pratica il diritto a stamparla in esclusiva sul territorio della Repubblica, in questo caso, per cinque anni. Fu la prima volta che uno stampatore ottenne tale diritto[2]. Si trattò di un privilegio pro arte introducenda, data l'assoluta novità di tale tecnologia sul suolo della Serenissima[3]. Pochi mesi dopo Giovanni morì prematuramente, lasciando la moglie Paola, italiana, e due figli (un maschio e una femmina). Il privilegio decadde, né fu rinnovato per altri stampatori a Venezia[2].
Nel 1470 Vindelino terminò l'edizione del De civitate Dei di Sant'Agostino iniziata dal fratello. Paola sposò Giovanni da Colonia, un mercante tedesco attivo a Venezia, il quale finanziò le opere di Vindelino fino al 1477 e poi produsse libri in proprio[4]. I due stamparono classici latini (Plauto, Catullo, Marziale, Livio, Tacito, Sallustio) e opere liturgiche.
L'incunabolo più conosciuto di Vindelino fu la Bibbia in volgare di Nicolò Malermi (1471), la prima traduzione italiana a stampa della Bibbia.
Francesco Petrarca (Arezzo, 20 luglio 1304 – Arquà, 19 luglio 1374[1]) è stato uno scrittore, poeta, filosofo e filologo italiano, considerato il precursore dell'umanesimo e uno dei fondamenti della letteratura italiana, soprattutto grazie alla sua opera più celebre, il Canzoniere, patrocinata quale modello di eccellenza stilistica da Pietro Bembo nei primi del Cinquecento.
Uomo slegato ormai dalla concezione della patria come mater e divenuto cittadino del mondo, Petrarca rilanciò, in ambito filosofico, l'agostinismo in contrapposizione alla scolastica e operò una rivalutazione storico-filologica dei classici latini. Fautore dunque di una ripresa degli studia humanitatis in senso antropocentrico (e non più in chiave assolutamente teocentrica), Petrarca (che ottenne la laurea poetica a Roma nel 1341) spese l'intera sua vita nella riproposta culturale della poetica e filosofia antica e patristica attraverso l'imitazione dei classici, offrendo un'immagine di sé quale campione di virtù e della lotta contro i vizi.
La storia medesima del Canzoniere, infatti, è più un percorso di riscatto dall'amore travolgente per Laura che una storia d'amore, e in quest'ottica si deve valutare anche l'opera latina del Secretum. Le tematiche e la proposta culturale petrarchesca, oltre ad aver fondato il movimento culturale umanistico, diedero avvio al fenomeno del petrarchismo, teso a imitare stilemi, lessico e generi poetici propri della produzione lirica volgare di Petrarca.
Biografia
La casa natale di Francesco Petrarca ad Arezzo, in via Borgo dell'Orto 28. L'edificio, risalente al '400, viene comunemente identificato nella casa natale del poeta secondo la tradizione e l'identificazione topica data dallo stesso Petrarca nella Epistola Posteritati[2].
Giovinezza e formazione
La famiglia
Francesco Petrarca nacque il 20 luglio 1304 ad Arezzo da ser Petracco, notaio, ed Eletta Cangiani (o Canigiani), entrambi fiorentini[3]. Petracco, originario d'Incisa, apparteneva alla fazione dei guelfi bianchi e fu amico di Dante Alighieri, esiliato da Firenze nel 1302 per l'arrivo di Carlo di Valois, apparentemente entrato nella città toscana quale paciere di papa Bonifacio VIII, ma in realtà inviato per sostenere i guelfi neri contro quelli bianchi. La sentenza del 10 marzo 1302 emanata da Cante Gabrielli da Gubbio, podestà di Firenze, esiliava tutti i guelfi bianchi, compreso ser Petracco, che, oltre all'oltraggio dell'esilio, fu condannato al taglio della mano destra[4]. Dopo Francesco, nacque prima un figlio naturale di ser Petracco di nome Giovanni, di cui Petrarca tacerà sempre nei suoi scritti e che diverrà monaco olivetano e morì nel 1384[5]; poi, nel 1307, l'amato fratello Gherardo, futuro monaco certosino.
L'infanzia raminga e l'incontro con Dante
A causa dell'esilio paterno, il giovane Francesco trascorse l'infanzia in diversi luoghi della Toscana – prima ad Arezzo (dove la famiglia si era rifugiata in un primo tempo), poi a Incisa e Pisa – dove il padre era solito spostarsi per ragioni politico-economiche. In questa città il padre, che non aveva perso la speranza di rientrare in patria, si era riunito ai guelfi bianchi e ai ghibellini nel 1311 per accogliere l'imperatore Arrigo VII. Secondo quanto affermato dallo stesso Petrarca nella Familiares, XXI, 15 indirizzata all'amico Boccaccio, in questa città avvenne, probabilmente, il suo unico e fugace incontro con l'amico del padre, Dante[N 1].
Tra Francia e Italia (1312-1326)
Il soggiorno a Carpentras
Tuttavia, già nel 1312 la famiglia si trasferì a Carpentras, vicino ad Avignone (Francia), dove Petracco ottenne incarichi presso la Corte pontificia grazie all'intercessione del cardinale Niccolò da Prato[6]. Nel frattempo, il piccolo Francesco studiò a Carpentras sotto la guida del letterato Convenevole da Prato (1270/75-1338)[7], amico del padre che verrà ricordato dal Petrarca con toni d'affetto nella Seniles, XVI, 1[8]. Alla scuola di Convenevole, presso la quale studiò dal 1312 al 1316[9], conobbe uno dei suoi più cari amici, Guido Sette, arcivescovo di Genova dal 1358, al quale Petrarca indirizzò la Seniles, X, 2[N 2].
Anonimo, Laura e il Poeta, Casa di Francesco Petrarca, Arquà Petrarca (provincia di Padova). L'affresco fa parte di un ciclo pittorico realizzato nel corso del Cinquecento mentre era proprietario Pietro Paolo Valdezocco[10].
Gli studi giuridici a Montpellier e a Bologna
L'idillio di Carpentras durò fino all'autunno del 1316, allorché Francesco, il fratello Gherardo e l'amico Guido Sette furono inviati dalle rispettive famiglie a studiare diritto a Montpellier, città della Linguadoca[11], ricordata anch'essa come luogo pieno di pace e di gioia[12]. Nonostante ciò, oltre al disinteresse e al fastidio provati nei confronti della giurisprudenza[N 3], il soggiorno a Montpellier fu funestato dal primo dei vari lutti che Petrarca dovette affrontare nel corso della sua vita: la morte, a soli 38 anni, della madre Eletta nel 1318 o 1319[13]. Il figlio, ancora adolescente, compose il Breve pangerycum defuncte matris (poi rielaborato nell'epistola metrica 1, 7)[13], in cui vengono sottolineate le virtù della madre scomparsa, riassunte nella parola latina electa[14].
Il padre, poco dopo la scomparsa della moglie, decise di cambiare sede per gli studi dei figli inviandoli, nel 1320, nella ben più prestigiosa Bologna, anche questa volta accompagnati da Guido Sette[13] e da un precettore che seguisse la vita quotidiana dei figli[15]. In questi anni Petrarca, sempre più insofferente verso gli studi di diritto, si legò ai circoli letterari felsinei, divenendo studente e amico dei latinisti Giovanni del Virgilio e Bartolino Benincasa[16], coltivando così i primi studi letterari e iniziando quella bibliofilia che lo accompagnò per tutta la vita[17]. Gli anni bolognesi, al contrario di quelli trascorsi in Provenza, non furono tranquilli: nel 1321 scoppiarono violenti tumulti in seno allo Studium in seguito alla decapitazione di uno studente, fatto che spinse Francesco, Gherardo e Guido a ritornare momentaneamente ad Avignone[18]. I tre rientrarono a Bologna per riprendervi gli studi dal 1322 al 1325, anno in cui Petrarca ritornò ad Avignone per «prendere a prestito una grossa somma di denaro»[18], vale a dire 200 lire bolognesi spese presso il libraio bolognese Bonfigliolo Zambeccari[19].
Il periodo avignonese (1326-1341)
La morte del padre e il servizio presso la famiglia Colonna
Il Palazzo dei Papi ad Avignone, residenza dei pontefici romani dal 1309 al 1377 durante la cosiddetta cattività avignonese. La città provenzale, in quegli anni centro della Cristianità, era un centro culturale e commerciale di prim'ordine, realtà che permise a Petrarca di allacciare numerosi legami con protagonisti della vita politica e culturale del primo Trecento.
Nel 1326 ser Petracco morì[20], permettendo a Petrarca di lasciare finalmente la facoltà di diritto a Bologna e di dedicarsi agli studi classici che sempre più lo appassionavano. Per dedicarsi a tempo pieno a quest'occupazione doveva trovare una fonte di sostentamento che gli permettesse di ottenere un qualche guadagno remunerativo: lo trovò quale membro del seguito prima di Giacomo Colonna, arcivescovo di Lombez[21]; poi del fratello di Giacomo, il cardinale Giovanni, dal 1330[22]. L'essere entrato a far parte della famiglia, tra le più influenti e potenti dell'aristocrazia romana, permise a Francesco di ottenere non soltanto quella sicurezza di cui aveva bisogno per iniziare i propri studi, ma anche di estendere le sue conoscenze in seno all'élite culturale e politica europea.
Difatti, in veste di rappresentante degli interessi dei Colonna, Petrarca compì, tra la primavera e l'estate del 1333, un lungo viaggio nell'Europa del Nord, spinto dall'irrequieto e risorgente desiderio di conoscenza umana e culturale che contrassegnò l'intera sua agitata biografia: fu a Parigi, Gand, Liegi, Aquisgrana, Colonia, Lione[23]. Particolarmente importante fu la primavera/estate del 1330 allorché, nella città di Lombez, Petrarca conobbe Angelo Tosetti e il musico e cantore fiammingo Ludwig Van Kempen, il Socrate cui verrà dedicata la raccolta epistolare delle Familiares[24].
Poco dopo essere entrato a far parte del seguito del vescovo Giovanni, Petrarca prese gli ordini sacri, divenendo canonico, col fine di ottenere i benefici connessi all'ente ecclesiastico di cui era investito[N 4]. Nonostante la sua condizione di membro del clero (è attestato che dal 1330 il Petrarca è nella condizione di chierico[25]), ebbe comunque dei figli nati con donne ignote, figli tra cui spiccano per importanza, nella successiva vita del poeta, Giovanni (nato nel 1337), e Francesca (nata nel 1343)[26].
Ritratto di Laura, in un disegno conservato presso la Biblioteca Medicea Laurenziana[27].
L'incontro con Laura
Secondo quanto afferma nel Secretum, Petrarca incontrò Laura per la prima volta, nella chiesa di Santa Chiara ad Avignone, il 6 aprile del 1327 (che cadde di lunedì. Pasqua fu il 12 aprile, e il Venerdì santo il 10 aprile in quell'anno), la donna (domina) che sarà l'amore della sua vita e che sarà immortalata nel Canzoniere. La figura di Laura ha suscitato, da parte dei critici letterari, le opinioni più diverse: identificata da alcuni con una Laura de Noves coniugata de Sade[N 5] (morta nel 1348 a causa della peste, come la stessa Laura petrarchesca), altri invece tendono a vedere in tale figura un senhal dietro cui nascondere la figura dell'alloro poetico (pianta che, per gioco etimologico, si associa al nome femminile), suprema ambizione del letterato Petrarca[28].
L'attività filologica
La scoperta dei classici e la spiritualità patristica
Come accennato prima, Petrarca manifestò già durante il soggiorno bolognese una spiccata sensibilità letteraria, professando una grandissima ammirazione per l'antichità classica. Oltre agli incontri con Giovanni del Virgilio e Cino da Pistoia, importante per la nascita della sensibilità letteraria del poeta fu il padre stesso, fervente ammiratore di Cicerone e della letteratura latina. Cino da Pistoia, inoltre, è considerabile il padre, dal punto di vista stilistico, insieme allo Stilnovismo della poesia in volgare di Petrarca.[29] Difatti ser Petracco, come racconta Petrarca nella Seniles, XVI, 1, donò al figlio un manoscritto contenente le opere di Virgilio e la Rethorica di Cicerone[N 6] e, nel 1325, un codice delle Etymologiae di Isidoro di Siviglia e uno contenente le lettere di san Paolo[30].
In quello stesso anno, dimostrando la passione sempre crescente per la Patristica, il giovane Francesco comprò un codice del De civitate Dei di Agostino d'Ippona e, verso il 1333[31], conobbe e cominciò a frequentare l'agostiniano Dionigi di Borgo San Sepolcro, dotto monaco agostiniano e professore di teologia alla Sorbona[32], il quale regalò al giovane Petrarca un codice tascabile delle Confessiones, lettura che aumentò ancor di più la passione del Nostro per la spiritualità patristica agostiniana[33]. Dopo la morte del padre e l'essere entrato a servizio dei Colonna, Petrarca si buttò a capofitto nella ricerca di nuovi classici, cominciando a visionare i codici della Biblioteca apostolica vaticana (ove scoprì la Naturalis historia di Plinio il Vecchio[34]) e, nel corso del viaggio nel Nord Europa compiuto nel 1333, Petrarca scoprì e ricopiò il codice del Pro Archia poeta di Cicerone e dell'apocrifa Ad equites romanos, conservati nella Biblioteca capitolare di Liegi[35].
L'alba della filologia umanistica
Oltre alla dimensione di explorator, Petrarca cominciò a sviluppare, tra gli anni Venti e Trenta, le basi per la nascita del metodo filologico moderno, basato sul metodo della collatio, sull'analisi delle varianti (e quindi sulla tradizione manoscritta dei classici, depurandoli dagli errori dei monaci amanuensi con la loro emendatio oppure completando i passi mancanti per congettura). Sulla base di queste premesse metodologiche, Petrarca lavorò alla ricostruzione, da un lato, dell'Ab Urbe condita dello storico latino Tito Livio; dall'altro, della composizione del grande codice contenente le opere di Virgilio e che, per la sua attuale locazione, è chiamato Virgilio ambrosiano[N 7].
Da Roma a Valchiusa: l'Africa e il De viris illustribus
Marie Alexandre Valentin Sellier, La farandole de Pétrarque (La farandola di Petrarca), olio su tela, 1900. Sullo sfondo si può notare il Castello di Noves, nella località di Valchiusa, il luogo ameno in cui Petrarca trascorse gran parte della sua vita fino al 1351, anno in cui lasciò la Provenza per l'Italia.
Mentre portava avanti questi progetti filologici, Petrarca cominciò a intrattenere con papa Benedetto XII (1334-1342) un rapporto epistolare (Epistolae metricae I, 2 e 5) con cui esortava il nuovo pontefice a ritornare a Roma[36] e continuò il suo servizio presso il cardinale Giovanni Colonna, su concessione del quale poté intraprendere un viaggio a Roma, dietro richiesta di Giacomo Colonna che desiderava averlo con sé[37]. Giuntovi sul finire di gennaio del 1337[38], nella Città Eterna Petrarca poté toccare con mano i monumenti e le antiche glorie dell'antica capitale dell'Impero romano, rimanendone estasiato[39]. Rientrato nell'estate del 1337 in Provenza, Petrarca comprò una casa a Valchiusa, appartata località sita nella valle della Sorgue[40], nel tentativo di sfuggire alla frenetica attività avignonese, ambiente che lentamente cominciò a detestare in quanto simbolo della corruzione morale in cui era caduto il Papato[N 8][N 9]. Valchiusa (che durante le assenze del giovane poeta era affidata al fattore Raymond Monet di Chermont[41]) fu anche il luogo ove Petrarca poté concentrarsi nella sua attività letteraria e accogliere quel piccolo cenacolo di amici eletti (a cui si aggiunse il vescovo di Cavaillon, Philippe de Cabassolle[42]) con cui trascorrere giornate all'insegna del dialogo colto e della spiritualità.
«Più o meno in quello stesso periodo, illustrando a Giacomo Colonna la vita condotta a Valchiusa nel primo anno della sua dimora lì, Petrarca delinea uno di quegli autoritratti manierati che diventeranno un luogo comune della sua corrispondenza: passeggiate campestri, amicizie scelte, letture intense, nessuna ambizione se non quella del quieto vivere (Epist. I 6, 156-237).»
(Pacca, pp. 34-35)
Fu in questo periodo appartato che Petrarca, forte della sua esperienza filologico-letteraria, incominciò a stendere le due opere che sarebbero dovute diventare il simbolo della rinascenza classica: l'Africa e il De viris illustribus. La prima, poema epico volto a ricalcare le orme virgiliane, narra dell'impresa militare romana della seconda guerra punica, incentrata sulle figure di Scipione l'Africano, a partire dal Somnium Scipionis di Cicerone[43]. La seconda, invece, è un medaglione di 36 vite di uomini illustri improntata sul modello liviano e quello floriano[44]. La scelta di comporre un'opera in versi e un'opera in prosa, ricalcanti i modelli sommi dell'antichità nei due rispettivi generi letterari e intesi a recuperare, oltre alla veste stilistica, anche quella spirituale degli antichi, diffusero presto il nome di Petrarca al di là dei confini provenzali, giungendo in Italia.
Tra l'Italia e la Provenza (1341-1353)
Giusto di Gand, Francesco Petrarca, pittura, XV secolo, Galleria Nazionale delle Marche, Urbino. L'alloro con cui Petrarca fu incoronato rivitalizzò il mito del poeta laureato, figura che diventerà un'istituzione pubblica in Paesi quali il Regno Unito[45].
L'incoronazione poetica
Il nome di Petrarca quale uomo eccezionalmente colto e grande letterato fu diffuso grazie all'influenza della famiglia Colonna e dell'agostiniano Dionigi[46]. Se i primi avevano influenza presso gli ambienti ecclesiastici e gli enti a essi collegati (quali le Università europee, tra le quali spiccava la Sorbona), padre Dionigi fece conoscere il nome dell'Aretino presso la corte del re di Napoli Roberto d'Angiò, presso il quale fu chiamato in virtù della sua erudizione[47].
Petrarca, approfittando della rete di conoscenze e di protettori di cui disponeva, pensò di ottenere un riconoscimento ufficiale per la sua attività letteraria innovatrice a favore dell'antichità, patrocinando così la sua incoronazione poetica[48]. Difatti, nella Familiares, II, 4, Petrarca confidò al padre agostiniano la sua speranza di ricevere l'aiuto del sovrano angioino per realizzare questo suo sogno, intessendone le lodi[49].
Nel contempo, il 1º settembre del 1340, per mezzo del proprio cancelliere Roberto de' Bardi, la Sorbona fece arrivare al Nostro l'offerta di un'incoronazione poetica a Parigi; proposta che, nel pomeriggio dello stesso giorno, giunse analoga dal Senato di Roma[50]. Su consiglio di Giovanni Colonna, Petrarca, che desiderava essere incoronato nell'antica capitale dell'Impero romano, accettò la seconda offerta[51], accogliendo poi l'invito di re Roberto di essere esaminato da lui stesso a Napoli prima di arrivare a Roma per ottenere la sospirata incoronazione.
Le fasi di preparazione per il fatidico incontro con il sovrano angioino durarono tra l'ottobre 1340 e i primi giorni del 1341 se il 16 febbraio Petrarca, accompagnato dal signore di Parma Azzo da Correggio, si mise in viaggio per Napoli col fine di ottenere l'approvazione del colto sovrano angioino. Giunto nella città partenopea a fine febbraio, fu esaminato per tre giorni da re Roberto che, dopo averne constatato la cultura e la preparazione poetica, acconsentì all'incoronazione a poeta in Campidoglio per mano del senatore Orso dell'Anguillara[52]. Ad ulteriore conferma del valore del poeta, il sovrano volle prestargli un suo preziosissimo mantello da indossare durante la cerimonia d’incoronazione[53]. Se conosciamo da un lato sia il contenuto del discorso di Petrarca (la Collatio laureationis), sia la certificazione dell'attestato di laurea da parte del Senato romano (il Privilegium lauree domini Francisci Petrarche, che gli conferiva anche l'autorità per insegnare e la cittadinanza romana)[54], la data dell'incoronazione è incerta: tra quanto affermato da Petrarca e quanto poi testimoniato da Boccaccio, la cerimonia d'incoronazione avvenne in un arco temporale tra l'8 e il 17 di aprile[55]. Petrarca, poeta laureato, si inserisce così effettivamente nel solco dei poeti latini, aspirando, con l'Africa (rimasta incompiuta) a divenire il nuovo Virgilio. Il poema si chiude effettivamente al nono libro[56] con il poeta Ennio che traccia profeticamente il futuro della poesia latina che trova in Petrarca stesso il suo punto di arrivo[57].
Gli anni 1341-1348
Federico Faruffini, Cola di Rienzo contempla le rovine di Roma, olio su tela, 1855, collezione privata, Pavia. Petrarca condivise con Cola il programma politico di restaurazione, per poi rimproverarlo quando accettò le imposizioni politiche della Curia avignonese, intimorita dalla sua politica demagogica[58].
Gli anni successivi all'incoronazione poetica, quelli compresi tra il 1341 e il 1348, furono contrassegnati da un perenne stato d'inquietudine morale, dovuta sia a eventi traumatici della vita privata, sia all'inesorabile disgusto verso la corruzione avignonese[59]. Subito dopo l'incoronazione poetica, mentre Petrarca sostava a Parma, seppe della prematura scomparsa dell'amico Giacomo Colonna (avvenuta nel settembre del 1341[60]), notizia che lo turbò profondamente[N 10]. Gli anni successivi non recarono conforto al poeta laureato: da un lato le morti prima di Dionigi (31 marzo 1342[61]) e, poi, di re Roberto (19 gennaio 1343[62]) ne accentuarono lo stato di sconforto; dall'altro, la scelta da parte del fratello Gherardo di abbandonare la vita mondana per diventare monaco nella Certosa di Montrieux, spinsero Petrarca a riflettere sulla caducità del mondo[63].
Nell'autunno del 1342[64], mentre Petrarca soggiornava ad Avignone, conobbe il futuro tribuno Cola di Rienzo (giunto in Provenza quale ambasciatore del regime democratico instauratosi a Roma), col quale condivideva la necessità di ridare a Roma l'antico status di grandezza politica che, come capitale dell'antica Roma e sede del papato, le spettava di diritto[65]. Nello stesso anno conobbe ad Avignone Barlaam di Seminara[66] da cui cercò di apprendere il greco. Il Petrarca si adoperò per fargli assegnare la diocesi di Gerace da papa Clemente VI il 2 ottobre dello stesso 1342[67]. Nel 1346 Petrarca fu nominato canonico del Capitolo della cattedrale di Parma, mentre nel 1348 fu nominato arcidiacono[68]. La caduta politica di Cola nel 1347, favorita specialmente dalla famiglia Colonna, sarà la spinta decisiva da parte di Petrarca per abbandonare i suoi antichi protettori: fu infatti in quell'anno che lasciò, ufficialmente, l'entourage del cardinale Giovanni[69].
A fianco di queste esperienze private, il cammino dell'intellettuale Petrarca fu invece caratterizzato da una scoperta importantissima. Nel 1345, dopo essersi rifugiato a Verona in seguito all'assedio di Parma e la caduta in disgrazia dell'amico Azzo da Correggio (dicembre 1344)[70], Petrarca scoprì nella biblioteca capitolare le epistole ciceroniane ad Brutum, ad Atticum e ad Quintum fratrem, fino ad allora sconosciute[N 11]. L'importanza della scoperta consistette nel modello epistolografico che esse trasmettevano: i colloquia a distanza con gli amici, l'uso del tu al posto del voi proprio dell'epistolografia medievale e, infine, lo stile fluido e ipotattico indussero l'Aretino a comporre anch'egli delle raccolte di lettere sul modello ciceroniano e senecano, determinando la nascita delle Familiares prima, e delle Seniles poi[71]. A questo periodo di tempo risalgono anche i Rerum memorandarum libri (lasciati incompiuti), l'avvio del De otio religioso e del De vita solitaria tra il 1346 e il 1347 che furono rimaneggiati negli anni successivi[70]. Sempre a Verona, Petrarca ebbe modo di conoscere Pietro Alighieri, figlio di Dante, con cui intrattenne rapporti cordiali[72].
La peste nera (1348-1349)
«La vita, come suol dirsi, ci sfuggì dalle mani: le nostre speranze furon sepolte cogli amici nostri. Il 1348 fu l'anno che ci rese miseri e soli.»
(Delle cose familiari, prefazione, A Socrate [Ludwig van Kempen], traduzione di G. Fracassetti, 1, p. 239)
Dopo essersi slegato dai Colonna, Petrarca cominciò a cercare nuovi patroni presso cui ottenere protezione. Pertanto, lasciata Avignone insieme al figlio Giovanni (la cui educazione fu affidata al letterato e grammatico parmenense Moggio Moggi), giunse il 25 gennaio del 1348 a Verona, località dove si era rifugiato l'amico Azzo da Correggio dopo essere stato scacciato dai suoi domini[73], per poi giungere a Parma nel mese di marzo, dove strinse legami con il nuovo signore della città, il signore di Milano Luchino Visconti[74]. Fu, però, in questo periodo che iniziò a diffondersi per l'Europa la terribile peste nera, morbo che causò la morte di molti amici del Petrarca: i fiorentini Sennuccio del Bene, Bruno Casini[75] e Franceschino degli Albizzi; il cardinale Giovanni Colonna e il padre di lui, Stefano il Vecchio[76]; e quella dell'amata Laura, di cui ebbe la notizia (avvenuta l'8 di aprile) soltanto il 19 maggio[77].
Nonostante il dilagare del contagio e la prostrazione psicologica in cui cadde a causa della morte di molti suoi amici, Petrarca continuò le sue peregrinazioni, alla perenne ricerca di un protettore. Lo trovò in Jacopo II da Carrara, suo estimatore che nel 1349 lo nominò canonico del duomo di Padova. Il signore di Padova intese in tal modo trattenere in città il poeta il quale, oltre alla confortevole casa, in virtù del canonicato ottenne una rendita annua di 200 ducati d'oro, ma per alcuni anni Petrarca avrebbe utilizzato questa abitazione solo occasionalmente[78][79]. Difatti, costantemente in preda al desiderio di viaggiare, nel 1349 fu a Mantova, a Ferrara e a Venezia, dove conobbe il doge Andrea Dandolo[80].
Boccaccio (a sinistra) e Petrarca (a destra) in due incisioni di Raffaello Morghen (1758-1833) del 1822. Boccaccio sarà uno dei principali interlocutori di Petrarca tra il 1350 e il 1374 determinando, attraverso tale sodalizio, la nascita dell'umanesimo.
L'incontro con Giovanni Boccaccio e gli amici fiorentini (1350)
Lo stesso argomento in dettaglio: Giovanni Boccaccio § Boccaccio e Petrarca.
Nel 1350 prese la decisione di recarsi a Roma per lucrare l'indulgenza dell'Anno giubilare. Durante il viaggio accondiscese alle richieste dei suoi ammiratori fiorentini e decise di incontrarsi con loro. L’occasione fu di fondamentale importanza non tanto per Petrarca, quanto per colui che diventerà il suo principale interlocutore durante gli ultimi vent'anni di vita, Giovanni Boccaccio. Il novelliere, sotto la sua guida, incominciò una lenta e progressiva conversione verso una mentalità e un approccio più umanistico alla letteratura, collaborando spesso con il suo venerato praeceptor in progetti culturali di ampio respiro. Tra questi ricordiamo la riscoperta del greco antico e la scoperta di antichi codici classici[81].
L'ultimo soggiorno in Provenza (1351-1353)
Tra il 1350 e il 1351, Petrarca risiedette prevalentemente a Padova, presso Francesco I da Carrara[80]. Qui, oltre a portare avanti i progetti letterari delle Familiares e le opere spirituali iniziate prima del 1348, ricevette anche la visita di Giovanni Boccaccio (marzo 1351) in veste di ambasciatore del Comune fiorentino perché accettasse un posto di docente presso il nuovo Studium fiorentino[82]. Poco dopo, Petrarca fu spinto a rientrare ad Avignone in seguito all'incontro con i Cardinali Eli de Talleyrand e Guy de Boulogne, latori della volontà di papa Clemente VI che intendeva affidargli l'incarico di segretario apostolico[83]. Nonostante l'allettante offerta del pontefice, l'antico disprezzo verso Avignone e gli scontri con gli ambienti della corte pontificia (i medici del pontefice[70] e, dopo la morte di Clemente, l'antipatia del nuovo papa Innocenzo VI[84]) indussero Petrarca a lasciare Avignone per Valchiusa, dove prese la decisione definitiva di stabilirsi in Italia.
Il periodo italiano (1353-1374)
A Milano: la figura dell'intellettuale umanista
Targa commemorativa del soggiorno meneghino di Petrarca situata agli inizi di Via Lanzone a Milano, davanti alla basilica di Sant'Ambrogio.
Petrarca iniziò il viaggio verso la patria italiana nell'aprile del 1353[70], accogliendo l'ospitale offerta di Giovanni Visconti, arcivescovo e signore della città, di risiedere a Milano. Malgrado le critiche degli amici fiorentini (tra le quali si ricorda quella risentita del Boccaccio[N 12]), che gli rimproveravano la scelta di essersi messo al servizio dell'acerrimo nemico di Firenze[N 13], Petrarca collaborò con missioni e ambascerie (a Parigi e a Venezia; l'incontro con l'imperatore Carlo IV a Mantova e a Praga) all'intraprendente politica viscontea[85].
Sulla scelta di risiedere a Milano piuttosto che a Firenze, bisogna ricordare l'animo cosmopolita proprio del Petrarca[86]. Cresciuto ramingo e lontano dalla sua patria, Petrarca non risente più dell'attaccamento medievale verso la propria patria d'origine, ma valuta gli inviti fattigli in base alle convenienze economiche e politiche. Meglio, infatti, avere la protezione di un signore potente e ricco come Giovanni Visconti prima e, dopo la morte di lui nel 1354, del successore Galeazzo II[87], che si rallegrerebbero di avere a corte un intellettuale celebre come Petrarca[88]. Nonostante tale scelta discutibile agli occhi degli amici fiorentini, i rapporti tra il praeceptor e i suoi discipuli si ricucirono: la ripresa del rapporto epistolare tra Petrarca e Boccaccio prima, e la visita di quest'ultimo a Milano nella casa di Petrarca situata nei pressi di Sant'Ambrogio poi (1359)[89], sono le prove della concordia ristabilita.
Nonostante le incombenze diplomatiche, nel capoluogo lombardo Petrarca maturò e portò a compimento quel processo di maturazione intellettuale e spirituale iniziato pochi anni prima, passando dalla ricerca erudita e filologica alla produzione di una letteratura filosofica fondata da un lato sull'insoddisfazione per la cultura contemporanea, dall'altra sulla necessità di una produzione che potesse guidare l'umanità verso i principi etico-morali filtrati attraverso il neoplatonismo agostiniano e lo stoicismo cristianeggiante[90]. Con questa convinzione interiore, Petrarca portò avanti gli scritti iniziati nel periodo della peste: il Secretum[91] e il De otio religioso[89]; la composizione di opere volte a fissare presso i posteri l'immagine di un uomo virtuoso i cui principi sono praticati anche nella vita quotidiana (le raccolte delle Familiares e, dal 1361, l'avviamento delle Seniles)[92] le raccolte poetiche latine (Epistolae Metricae) e quelle volgari (i Triumphi e i Rerum Vulgarium Fragmenta, alias il Canzoniere)[93]. Durante il soggiorno meneghino Petrarca iniziò soltanto una nuova opera, il dialogo intitolato De remediis utriusque fortune (sui rimedi della cattiva e della buona sorte), in cui si affrontano problematiche morali concernenti il denaro, la politica, le relazioni sociali e tutto ciò che è legato al quotidiano[94].
Il soggiorno veneziano (1362-1367)
Epigrafe dettata dal Petrarca per la tomba del nipote, Pavia, Musei Civici.
Nel giugno del 1361, per sfuggire alla peste, Petrarca abbandonò Milano[N 14] per Padova, città da cui nel 1362 fuggì per lo stesso motivo. Nonostante la fuga da Milano, i rapporti con Galeazzo II Visconti rimasero sempre molto buoni, tanto che trascorse l'estate del 1369 nel castello visconteo di Pavia in occasione di trattative diplomatiche[95]. A Pavia seppellì il piccolo nipote di due anni, figlio della figlia Francesca, nella chiesa di San Zeno e per lui compose un'epigrafe ancor oggi conservata nei Musei Civici[96]. Nel 1362, quindi, Petrarca si recò a Venezia, città dove si trovava il caro amico Donato degli Albanzani[97] e dove la Repubblica gli concesse in uso Palazzo Molin delle due Torri (sulla Riva degli Schiavoni)[98] in cambio della promessa di donazione, alla morte, della sua biblioteca, che era allora certamente la più grande biblioteca privata d'Europa: si tratta della prima testimonianza di un progetto di "bibliotheca publica"[99].
Lapide ricordo di Petrarca a Venezia sulla Riva degli Schiavoni
La casa veneziana fu molto amata dal poeta, che ne parla indirettamente nella Seniles, IV, 4 quando descrive, al destinatario Pietro da Bologna, le sue abitudini quotidiane (la lettera è datata intorno al 1364/65)[100]. Vi risiedette stabilmente fino al 1368 (tranne alcuni periodi a Pavia e Padova) e vi ospitò Giovanni Boccaccio e Leonzio Pilato. Durante il soggiorno veneziano, trascorso in compagnia degli amici più intimi[101], della figlia naturale Francesca (sposatasi nel 1361 con il milanese Francescuolo da Brossano[102]), Petrarca decise di affidare al copista Giovanni Malpaghini la trascrizione in bella copia delle Familiares e del Canzoniere[N 15]. La tranquillità di quegli anni fu turbata, nel 1367, dall'attacco maldestro e violento mosso alla cultura, all'opera e alla figura sua da quattro filosofi averroisti che lo accusarono di ignoranza[70]. L'episodio fu l'occasione per la stesura del trattato De sui ipsius et multorum ignorantia, in cui Petrarca difende la propria "ignoranza" in campo aristotelico a favore della filosofia neoplatonica-cristiana, più incentrata sui problemi della natura umana rispetto alla prima, intesa a indagare la natura sulla base dei dogmi del filosofo di Stagira[103]. Amareggiato per l'indifferenza dei veneziani davanti alle accuse rivoltegli, Petrarca decise di abbandonare la città lagunare e annullare così la donazione della sua biblioteca alla Serenissima.
L'epilogo padovano e la morte (1367-1374)
La casa di Petrarca ad Arquà Petrarca, località sita sui colli Euganei nei pressi di Padova, dove l'ormai anziano poeta trascorse gli ultimi anni di vita. Della dimora Petrarca parla nella Seniles, XV, 5.
Petrarca, dopo alcuni brevi viaggi, accolse l'invito dell'amico ed estimatore Francesco I da Carrara di stabilirsi a Padova nella primavera del 1368[70]. È ancora visibile, in Via Dietro Duomo 26/28 a Padova, la casa canonicale di Francesco Petrarca, che fu assegnata al poeta in seguito al conferimento del canonicato. Il signore di Padova donò poi, nel 1369, una casa situata nella località di Arquà, un tranquillo paese sui colli Euganei, dove poter vivere[104]. Lo stato della casa, però, era abbastanza dissestato e ci vollero alcuni mesi prima che potesse avvenire il definitivo trasferimento nella nuova dimora, avvenuta nel marzo del 1370[105]. La vita dell'anziano Petrarca, che fu raggiunto dalla famiglia della figlia Francesca nel 1371[106], si alternò prevalentemente tra il soggiorno nella sua amata casa di Arquà[N 16] e quella vicina al Duomo di Padova[107], allietato spesso dalle visite dei suoi vecchi amici ed estimatori, oltre a quelli nuovi conosciuti nella città veneta, tra cui si ricorda Lombardo della Seta, che dal 1367 aveva sostituito Giovanni Malpaghini quale copista e segretario del poeta laureato[108]. In quegli anni Petrarca si mosse dal padovano soltanto una volta quando, nell'ottobre del 1373, fu a Venezia quale paciere per il trattato di pace tra i veneziani e Francesco da Carrara[109]: per il resto del tempo si dedicò alla revisione delle sue opere e, in special modo, del Canzoniere, attività che portò avanti fino agli ultimi giorni di vita[85].
Colpito da una sincope, morì ad Arquà nella notte fra il 18 e il 19 luglio del 1374[109], esattamente alla vigilia del suo 70º compleanno e, secondo la leggenda, mentre esaminava un testo di Virgilio, come auspicato in una lettera al Boccaccio[110]. Il frate dell'Ordine degli Eremitani di sant'Agostino Bonaventura Badoer Peraga fu scelto per tenere l'orazione funebre in occasione dei funerali, che si svolsero il 24 luglio nella chiesa di Santa Maria Assunta alla presenza di Francesco da Carrara e di molte altre personalità laiche ed ecclesiastiche[111
Francesco Petrarca. Ristampa anastatica del Codice Queiriano di Brescia (Inc. G. V. 15). Le 51 pagine mancanti sono riprodotte dal Codice della Biblioteca Trivulziana di Milano. Cm 27 x 19, legatura in tutta pelle con fregi in oro, pagine 300. In ottimo stato. In asta senza riserva.
Il Petrarca queriniano è un importante incunabolo miniato del Canzoniere e dei Trionfi di Francesco Petrarca, conservato presso la Biblioteca Civica Queriniana di Brescia. È considerato un unicum nella storia delle edizioni petrarchesche per la sua ricchezza e originalità dell'apparato illustrativo. L'esemplare è un'edizione stampata a Venezia nel 1470 da Vindelino da Spira. Ogni componimento poetico (i Rerum vulgarium fragmenta) è corredato da proprie miniature, un fatto eccezionale per l'epoca, che offre un'interpretazione visiva del testo.
Il "Dilettante Queriniano": Il miniatore, identificato da alcuni studiosi con Antonio Grifo, è noto come il "Dilettante Queriniano". Le sue illustrazioni si ispirano alla società e alla moda del suo tempo (fine XV secolo), pur tenendo conto dei versi di Petrarca, e talvolta offrono un'interpretazione personale e a tratti dissacrante della figura di Laura.
Questo esemplare è quindi un documento di grande importanza per comprendere la ricezione e l'interpretazione visiva dell'opera di Petrarca nel Quattrocento.
Giovanni e Vindelino da Spira (Johann e Wendelin von Speyer; Spira, XV secolo – Venezia, XV secolo) sono stati due tipografi tedeschi, attivi nel XV secolo, famosi per aver introdotto la stampa a caratteri mobili a Venezia.
Biografia
Dopo aver appreso l'arte della stampa a caratteri mobili a Magonza i due fratelli emigrarono in Italia. Arrivati a Venezia, impiantarono il primo torchio tipografico nella città lagunare.
Avviarono subito la produzione: il primo volume stampato dai due fratelli furono le Epistulae ad familiares di Cicerone.[1] Sempre nel 1469 Giovanni stampò l'editio princeps della Naturalis historia di Plinio il Vecchio. Per quest'opera i due fratelli chiesero e ottennero dalle autorità veneziane il privilegio, in pratica il diritto a stamparla in esclusiva sul territorio della Repubblica, in questo caso, per cinque anni. Fu la prima volta che uno stampatore ottenne tale diritto[2]. Si trattò di un privilegio pro arte introducenda, data l'assoluta novità di tale tecnologia sul suolo della Serenissima[3]. Pochi mesi dopo Giovanni morì prematuramente, lasciando la moglie Paola, italiana, e due figli (un maschio e una femmina). Il privilegio decadde, né fu rinnovato per altri stampatori a Venezia[2].
Nel 1470 Vindelino terminò l'edizione del De civitate Dei di Sant'Agostino iniziata dal fratello. Paola sposò Giovanni da Colonia, un mercante tedesco attivo a Venezia, il quale finanziò le opere di Vindelino fino al 1477 e poi produsse libri in proprio[4]. I due stamparono classici latini (Plauto, Catullo, Marziale, Livio, Tacito, Sallustio) e opere liturgiche.
L'incunabolo più conosciuto di Vindelino fu la Bibbia in volgare di Nicolò Malermi (1471), la prima traduzione italiana a stampa della Bibbia.
Francesco Petrarca (Arezzo, 20 luglio 1304 – Arquà, 19 luglio 1374[1]) è stato uno scrittore, poeta, filosofo e filologo italiano, considerato il precursore dell'umanesimo e uno dei fondamenti della letteratura italiana, soprattutto grazie alla sua opera più celebre, il Canzoniere, patrocinata quale modello di eccellenza stilistica da Pietro Bembo nei primi del Cinquecento.
Uomo slegato ormai dalla concezione della patria come mater e divenuto cittadino del mondo, Petrarca rilanciò, in ambito filosofico, l'agostinismo in contrapposizione alla scolastica e operò una rivalutazione storico-filologica dei classici latini. Fautore dunque di una ripresa degli studia humanitatis in senso antropocentrico (e non più in chiave assolutamente teocentrica), Petrarca (che ottenne la laurea poetica a Roma nel 1341) spese l'intera sua vita nella riproposta culturale della poetica e filosofia antica e patristica attraverso l'imitazione dei classici, offrendo un'immagine di sé quale campione di virtù e della lotta contro i vizi.
La storia medesima del Canzoniere, infatti, è più un percorso di riscatto dall'amore travolgente per Laura che una storia d'amore, e in quest'ottica si deve valutare anche l'opera latina del Secretum. Le tematiche e la proposta culturale petrarchesca, oltre ad aver fondato il movimento culturale umanistico, diedero avvio al fenomeno del petrarchismo, teso a imitare stilemi, lessico e generi poetici propri della produzione lirica volgare di Petrarca.
Biografia
La casa natale di Francesco Petrarca ad Arezzo, in via Borgo dell'Orto 28. L'edificio, risalente al '400, viene comunemente identificato nella casa natale del poeta secondo la tradizione e l'identificazione topica data dallo stesso Petrarca nella Epistola Posteritati[2].
Giovinezza e formazione
La famiglia
Francesco Petrarca nacque il 20 luglio 1304 ad Arezzo da ser Petracco, notaio, ed Eletta Cangiani (o Canigiani), entrambi fiorentini[3]. Petracco, originario d'Incisa, apparteneva alla fazione dei guelfi bianchi e fu amico di Dante Alighieri, esiliato da Firenze nel 1302 per l'arrivo di Carlo di Valois, apparentemente entrato nella città toscana quale paciere di papa Bonifacio VIII, ma in realtà inviato per sostenere i guelfi neri contro quelli bianchi. La sentenza del 10 marzo 1302 emanata da Cante Gabrielli da Gubbio, podestà di Firenze, esiliava tutti i guelfi bianchi, compreso ser Petracco, che, oltre all'oltraggio dell'esilio, fu condannato al taglio della mano destra[4]. Dopo Francesco, nacque prima un figlio naturale di ser Petracco di nome Giovanni, di cui Petrarca tacerà sempre nei suoi scritti e che diverrà monaco olivetano e morì nel 1384[5]; poi, nel 1307, l'amato fratello Gherardo, futuro monaco certosino.
L'infanzia raminga e l'incontro con Dante
A causa dell'esilio paterno, il giovane Francesco trascorse l'infanzia in diversi luoghi della Toscana – prima ad Arezzo (dove la famiglia si era rifugiata in un primo tempo), poi a Incisa e Pisa – dove il padre era solito spostarsi per ragioni politico-economiche. In questa città il padre, che non aveva perso la speranza di rientrare in patria, si era riunito ai guelfi bianchi e ai ghibellini nel 1311 per accogliere l'imperatore Arrigo VII. Secondo quanto affermato dallo stesso Petrarca nella Familiares, XXI, 15 indirizzata all'amico Boccaccio, in questa città avvenne, probabilmente, il suo unico e fugace incontro con l'amico del padre, Dante[N 1].
Tra Francia e Italia (1312-1326)
Il soggiorno a Carpentras
Tuttavia, già nel 1312 la famiglia si trasferì a Carpentras, vicino ad Avignone (Francia), dove Petracco ottenne incarichi presso la Corte pontificia grazie all'intercessione del cardinale Niccolò da Prato[6]. Nel frattempo, il piccolo Francesco studiò a Carpentras sotto la guida del letterato Convenevole da Prato (1270/75-1338)[7], amico del padre che verrà ricordato dal Petrarca con toni d'affetto nella Seniles, XVI, 1[8]. Alla scuola di Convenevole, presso la quale studiò dal 1312 al 1316[9], conobbe uno dei suoi più cari amici, Guido Sette, arcivescovo di Genova dal 1358, al quale Petrarca indirizzò la Seniles, X, 2[N 2].
Anonimo, Laura e il Poeta, Casa di Francesco Petrarca, Arquà Petrarca (provincia di Padova). L'affresco fa parte di un ciclo pittorico realizzato nel corso del Cinquecento mentre era proprietario Pietro Paolo Valdezocco[10].
Gli studi giuridici a Montpellier e a Bologna
L'idillio di Carpentras durò fino all'autunno del 1316, allorché Francesco, il fratello Gherardo e l'amico Guido Sette furono inviati dalle rispettive famiglie a studiare diritto a Montpellier, città della Linguadoca[11], ricordata anch'essa come luogo pieno di pace e di gioia[12]. Nonostante ciò, oltre al disinteresse e al fastidio provati nei confronti della giurisprudenza[N 3], il soggiorno a Montpellier fu funestato dal primo dei vari lutti che Petrarca dovette affrontare nel corso della sua vita: la morte, a soli 38 anni, della madre Eletta nel 1318 o 1319[13]. Il figlio, ancora adolescente, compose il Breve pangerycum defuncte matris (poi rielaborato nell'epistola metrica 1, 7)[13], in cui vengono sottolineate le virtù della madre scomparsa, riassunte nella parola latina electa[14].
Il padre, poco dopo la scomparsa della moglie, decise di cambiare sede per gli studi dei figli inviandoli, nel 1320, nella ben più prestigiosa Bologna, anche questa volta accompagnati da Guido Sette[13] e da un precettore che seguisse la vita quotidiana dei figli[15]. In questi anni Petrarca, sempre più insofferente verso gli studi di diritto, si legò ai circoli letterari felsinei, divenendo studente e amico dei latinisti Giovanni del Virgilio e Bartolino Benincasa[16], coltivando così i primi studi letterari e iniziando quella bibliofilia che lo accompagnò per tutta la vita[17]. Gli anni bolognesi, al contrario di quelli trascorsi in Provenza, non furono tranquilli: nel 1321 scoppiarono violenti tumulti in seno allo Studium in seguito alla decapitazione di uno studente, fatto che spinse Francesco, Gherardo e Guido a ritornare momentaneamente ad Avignone[18]. I tre rientrarono a Bologna per riprendervi gli studi dal 1322 al 1325, anno in cui Petrarca ritornò ad Avignone per «prendere a prestito una grossa somma di denaro»[18], vale a dire 200 lire bolognesi spese presso il libraio bolognese Bonfigliolo Zambeccari[19].
Il periodo avignonese (1326-1341)
La morte del padre e il servizio presso la famiglia Colonna
Il Palazzo dei Papi ad Avignone, residenza dei pontefici romani dal 1309 al 1377 durante la cosiddetta cattività avignonese. La città provenzale, in quegli anni centro della Cristianità, era un centro culturale e commerciale di prim'ordine, realtà che permise a Petrarca di allacciare numerosi legami con protagonisti della vita politica e culturale del primo Trecento.
Nel 1326 ser Petracco morì[20], permettendo a Petrarca di lasciare finalmente la facoltà di diritto a Bologna e di dedicarsi agli studi classici che sempre più lo appassionavano. Per dedicarsi a tempo pieno a quest'occupazione doveva trovare una fonte di sostentamento che gli permettesse di ottenere un qualche guadagno remunerativo: lo trovò quale membro del seguito prima di Giacomo Colonna, arcivescovo di Lombez[21]; poi del fratello di Giacomo, il cardinale Giovanni, dal 1330[22]. L'essere entrato a far parte della famiglia, tra le più influenti e potenti dell'aristocrazia romana, permise a Francesco di ottenere non soltanto quella sicurezza di cui aveva bisogno per iniziare i propri studi, ma anche di estendere le sue conoscenze in seno all'élite culturale e politica europea.
Difatti, in veste di rappresentante degli interessi dei Colonna, Petrarca compì, tra la primavera e l'estate del 1333, un lungo viaggio nell'Europa del Nord, spinto dall'irrequieto e risorgente desiderio di conoscenza umana e culturale che contrassegnò l'intera sua agitata biografia: fu a Parigi, Gand, Liegi, Aquisgrana, Colonia, Lione[23]. Particolarmente importante fu la primavera/estate del 1330 allorché, nella città di Lombez, Petrarca conobbe Angelo Tosetti e il musico e cantore fiammingo Ludwig Van Kempen, il Socrate cui verrà dedicata la raccolta epistolare delle Familiares[24].
Poco dopo essere entrato a far parte del seguito del vescovo Giovanni, Petrarca prese gli ordini sacri, divenendo canonico, col fine di ottenere i benefici connessi all'ente ecclesiastico di cui era investito[N 4]. Nonostante la sua condizione di membro del clero (è attestato che dal 1330 il Petrarca è nella condizione di chierico[25]), ebbe comunque dei figli nati con donne ignote, figli tra cui spiccano per importanza, nella successiva vita del poeta, Giovanni (nato nel 1337), e Francesca (nata nel 1343)[26].
Ritratto di Laura, in un disegno conservato presso la Biblioteca Medicea Laurenziana[27].
L'incontro con Laura
Secondo quanto afferma nel Secretum, Petrarca incontrò Laura per la prima volta, nella chiesa di Santa Chiara ad Avignone, il 6 aprile del 1327 (che cadde di lunedì. Pasqua fu il 12 aprile, e il Venerdì santo il 10 aprile in quell'anno), la donna (domina) che sarà l'amore della sua vita e che sarà immortalata nel Canzoniere. La figura di Laura ha suscitato, da parte dei critici letterari, le opinioni più diverse: identificata da alcuni con una Laura de Noves coniugata de Sade[N 5] (morta nel 1348 a causa della peste, come la stessa Laura petrarchesca), altri invece tendono a vedere in tale figura un senhal dietro cui nascondere la figura dell'alloro poetico (pianta che, per gioco etimologico, si associa al nome femminile), suprema ambizione del letterato Petrarca[28].
L'attività filologica
La scoperta dei classici e la spiritualità patristica
Come accennato prima, Petrarca manifestò già durante il soggiorno bolognese una spiccata sensibilità letteraria, professando una grandissima ammirazione per l'antichità classica. Oltre agli incontri con Giovanni del Virgilio e Cino da Pistoia, importante per la nascita della sensibilità letteraria del poeta fu il padre stesso, fervente ammiratore di Cicerone e della letteratura latina. Cino da Pistoia, inoltre, è considerabile il padre, dal punto di vista stilistico, insieme allo Stilnovismo della poesia in volgare di Petrarca.[29] Difatti ser Petracco, come racconta Petrarca nella Seniles, XVI, 1, donò al figlio un manoscritto contenente le opere di Virgilio e la Rethorica di Cicerone[N 6] e, nel 1325, un codice delle Etymologiae di Isidoro di Siviglia e uno contenente le lettere di san Paolo[30].
In quello stesso anno, dimostrando la passione sempre crescente per la Patristica, il giovane Francesco comprò un codice del De civitate Dei di Agostino d'Ippona e, verso il 1333[31], conobbe e cominciò a frequentare l'agostiniano Dionigi di Borgo San Sepolcro, dotto monaco agostiniano e professore di teologia alla Sorbona[32], il quale regalò al giovane Petrarca un codice tascabile delle Confessiones, lettura che aumentò ancor di più la passione del Nostro per la spiritualità patristica agostiniana[33]. Dopo la morte del padre e l'essere entrato a servizio dei Colonna, Petrarca si buttò a capofitto nella ricerca di nuovi classici, cominciando a visionare i codici della Biblioteca apostolica vaticana (ove scoprì la Naturalis historia di Plinio il Vecchio[34]) e, nel corso del viaggio nel Nord Europa compiuto nel 1333, Petrarca scoprì e ricopiò il codice del Pro Archia poeta di Cicerone e dell'apocrifa Ad equites romanos, conservati nella Biblioteca capitolare di Liegi[35].
L'alba della filologia umanistica
Oltre alla dimensione di explorator, Petrarca cominciò a sviluppare, tra gli anni Venti e Trenta, le basi per la nascita del metodo filologico moderno, basato sul metodo della collatio, sull'analisi delle varianti (e quindi sulla tradizione manoscritta dei classici, depurandoli dagli errori dei monaci amanuensi con la loro emendatio oppure completando i passi mancanti per congettura). Sulla base di queste premesse metodologiche, Petrarca lavorò alla ricostruzione, da un lato, dell'Ab Urbe condita dello storico latino Tito Livio; dall'altro, della composizione del grande codice contenente le opere di Virgilio e che, per la sua attuale locazione, è chiamato Virgilio ambrosiano[N 7].
Da Roma a Valchiusa: l'Africa e il De viris illustribus
Marie Alexandre Valentin Sellier, La farandole de Pétrarque (La farandola di Petrarca), olio su tela, 1900. Sullo sfondo si può notare il Castello di Noves, nella località di Valchiusa, il luogo ameno in cui Petrarca trascorse gran parte della sua vita fino al 1351, anno in cui lasciò la Provenza per l'Italia.
Mentre portava avanti questi progetti filologici, Petrarca cominciò a intrattenere con papa Benedetto XII (1334-1342) un rapporto epistolare (Epistolae metricae I, 2 e 5) con cui esortava il nuovo pontefice a ritornare a Roma[36] e continuò il suo servizio presso il cardinale Giovanni Colonna, su concessione del quale poté intraprendere un viaggio a Roma, dietro richiesta di Giacomo Colonna che desiderava averlo con sé[37]. Giuntovi sul finire di gennaio del 1337[38], nella Città Eterna Petrarca poté toccare con mano i monumenti e le antiche glorie dell'antica capitale dell'Impero romano, rimanendone estasiato[39]. Rientrato nell'estate del 1337 in Provenza, Petrarca comprò una casa a Valchiusa, appartata località sita nella valle della Sorgue[40], nel tentativo di sfuggire alla frenetica attività avignonese, ambiente che lentamente cominciò a detestare in quanto simbolo della corruzione morale in cui era caduto il Papato[N 8][N 9]. Valchiusa (che durante le assenze del giovane poeta era affidata al fattore Raymond Monet di Chermont[41]) fu anche il luogo ove Petrarca poté concentrarsi nella sua attività letteraria e accogliere quel piccolo cenacolo di amici eletti (a cui si aggiunse il vescovo di Cavaillon, Philippe de Cabassolle[42]) con cui trascorrere giornate all'insegna del dialogo colto e della spiritualità.
«Più o meno in quello stesso periodo, illustrando a Giacomo Colonna la vita condotta a Valchiusa nel primo anno della sua dimora lì, Petrarca delinea uno di quegli autoritratti manierati che diventeranno un luogo comune della sua corrispondenza: passeggiate campestri, amicizie scelte, letture intense, nessuna ambizione se non quella del quieto vivere (Epist. I 6, 156-237).»
(Pacca, pp. 34-35)
Fu in questo periodo appartato che Petrarca, forte della sua esperienza filologico-letteraria, incominciò a stendere le due opere che sarebbero dovute diventare il simbolo della rinascenza classica: l'Africa e il De viris illustribus. La prima, poema epico volto a ricalcare le orme virgiliane, narra dell'impresa militare romana della seconda guerra punica, incentrata sulle figure di Scipione l'Africano, a partire dal Somnium Scipionis di Cicerone[43]. La seconda, invece, è un medaglione di 36 vite di uomini illustri improntata sul modello liviano e quello floriano[44]. La scelta di comporre un'opera in versi e un'opera in prosa, ricalcanti i modelli sommi dell'antichità nei due rispettivi generi letterari e intesi a recuperare, oltre alla veste stilistica, anche quella spirituale degli antichi, diffusero presto il nome di Petrarca al di là dei confini provenzali, giungendo in Italia.
Tra l'Italia e la Provenza (1341-1353)
Giusto di Gand, Francesco Petrarca, pittura, XV secolo, Galleria Nazionale delle Marche, Urbino. L'alloro con cui Petrarca fu incoronato rivitalizzò il mito del poeta laureato, figura che diventerà un'istituzione pubblica in Paesi quali il Regno Unito[45].
L'incoronazione poetica
Il nome di Petrarca quale uomo eccezionalmente colto e grande letterato fu diffuso grazie all'influenza della famiglia Colonna e dell'agostiniano Dionigi[46]. Se i primi avevano influenza presso gli ambienti ecclesiastici e gli enti a essi collegati (quali le Università europee, tra le quali spiccava la Sorbona), padre Dionigi fece conoscere il nome dell'Aretino presso la corte del re di Napoli Roberto d'Angiò, presso il quale fu chiamato in virtù della sua erudizione[47].
Petrarca, approfittando della rete di conoscenze e di protettori di cui disponeva, pensò di ottenere un riconoscimento ufficiale per la sua attività letteraria innovatrice a favore dell'antichità, patrocinando così la sua incoronazione poetica[48]. Difatti, nella Familiares, II, 4, Petrarca confidò al padre agostiniano la sua speranza di ricevere l'aiuto del sovrano angioino per realizzare questo suo sogno, intessendone le lodi[49].
Nel contempo, il 1º settembre del 1340, per mezzo del proprio cancelliere Roberto de' Bardi, la Sorbona fece arrivare al Nostro l'offerta di un'incoronazione poetica a Parigi; proposta che, nel pomeriggio dello stesso giorno, giunse analoga dal Senato di Roma[50]. Su consiglio di Giovanni Colonna, Petrarca, che desiderava essere incoronato nell'antica capitale dell'Impero romano, accettò la seconda offerta[51], accogliendo poi l'invito di re Roberto di essere esaminato da lui stesso a Napoli prima di arrivare a Roma per ottenere la sospirata incoronazione.
Le fasi di preparazione per il fatidico incontro con il sovrano angioino durarono tra l'ottobre 1340 e i primi giorni del 1341 se il 16 febbraio Petrarca, accompagnato dal signore di Parma Azzo da Correggio, si mise in viaggio per Napoli col fine di ottenere l'approvazione del colto sovrano angioino. Giunto nella città partenopea a fine febbraio, fu esaminato per tre giorni da re Roberto che, dopo averne constatato la cultura e la preparazione poetica, acconsentì all'incoronazione a poeta in Campidoglio per mano del senatore Orso dell'Anguillara[52]. Ad ulteriore conferma del valore del poeta, il sovrano volle prestargli un suo preziosissimo mantello da indossare durante la cerimonia d’incoronazione[53]. Se conosciamo da un lato sia il contenuto del discorso di Petrarca (la Collatio laureationis), sia la certificazione dell'attestato di laurea da parte del Senato romano (il Privilegium lauree domini Francisci Petrarche, che gli conferiva anche l'autorità per insegnare e la cittadinanza romana)[54], la data dell'incoronazione è incerta: tra quanto affermato da Petrarca e quanto poi testimoniato da Boccaccio, la cerimonia d'incoronazione avvenne in un arco temporale tra l'8 e il 17 di aprile[55]. Petrarca, poeta laureato, si inserisce così effettivamente nel solco dei poeti latini, aspirando, con l'Africa (rimasta incompiuta) a divenire il nuovo Virgilio. Il poema si chiude effettivamente al nono libro[56] con il poeta Ennio che traccia profeticamente il futuro della poesia latina che trova in Petrarca stesso il suo punto di arrivo[57].
Gli anni 1341-1348
Federico Faruffini, Cola di Rienzo contempla le rovine di Roma, olio su tela, 1855, collezione privata, Pavia. Petrarca condivise con Cola il programma politico di restaurazione, per poi rimproverarlo quando accettò le imposizioni politiche della Curia avignonese, intimorita dalla sua politica demagogica[58].
Gli anni successivi all'incoronazione poetica, quelli compresi tra il 1341 e il 1348, furono contrassegnati da un perenne stato d'inquietudine morale, dovuta sia a eventi traumatici della vita privata, sia all'inesorabile disgusto verso la corruzione avignonese[59]. Subito dopo l'incoronazione poetica, mentre Petrarca sostava a Parma, seppe della prematura scomparsa dell'amico Giacomo Colonna (avvenuta nel settembre del 1341[60]), notizia che lo turbò profondamente[N 10]. Gli anni successivi non recarono conforto al poeta laureato: da un lato le morti prima di Dionigi (31 marzo 1342[61]) e, poi, di re Roberto (19 gennaio 1343[62]) ne accentuarono lo stato di sconforto; dall'altro, la scelta da parte del fratello Gherardo di abbandonare la vita mondana per diventare monaco nella Certosa di Montrieux, spinsero Petrarca a riflettere sulla caducità del mondo[63].
Nell'autunno del 1342[64], mentre Petrarca soggiornava ad Avignone, conobbe il futuro tribuno Cola di Rienzo (giunto in Provenza quale ambasciatore del regime democratico instauratosi a Roma), col quale condivideva la necessità di ridare a Roma l'antico status di grandezza politica che, come capitale dell'antica Roma e sede del papato, le spettava di diritto[65]. Nello stesso anno conobbe ad Avignone Barlaam di Seminara[66] da cui cercò di apprendere il greco. Il Petrarca si adoperò per fargli assegnare la diocesi di Gerace da papa Clemente VI il 2 ottobre dello stesso 1342[67]. Nel 1346 Petrarca fu nominato canonico del Capitolo della cattedrale di Parma, mentre nel 1348 fu nominato arcidiacono[68]. La caduta politica di Cola nel 1347, favorita specialmente dalla famiglia Colonna, sarà la spinta decisiva da parte di Petrarca per abbandonare i suoi antichi protettori: fu infatti in quell'anno che lasciò, ufficialmente, l'entourage del cardinale Giovanni[69].
A fianco di queste esperienze private, il cammino dell'intellettuale Petrarca fu invece caratterizzato da una scoperta importantissima. Nel 1345, dopo essersi rifugiato a Verona in seguito all'assedio di Parma e la caduta in disgrazia dell'amico Azzo da Correggio (dicembre 1344)[70], Petrarca scoprì nella biblioteca capitolare le epistole ciceroniane ad Brutum, ad Atticum e ad Quintum fratrem, fino ad allora sconosciute[N 11]. L'importanza della scoperta consistette nel modello epistolografico che esse trasmettevano: i colloquia a distanza con gli amici, l'uso del tu al posto del voi proprio dell'epistolografia medievale e, infine, lo stile fluido e ipotattico indussero l'Aretino a comporre anch'egli delle raccolte di lettere sul modello ciceroniano e senecano, determinando la nascita delle Familiares prima, e delle Seniles poi[71]. A questo periodo di tempo risalgono anche i Rerum memorandarum libri (lasciati incompiuti), l'avvio del De otio religioso e del De vita solitaria tra il 1346 e il 1347 che furono rimaneggiati negli anni successivi[70]. Sempre a Verona, Petrarca ebbe modo di conoscere Pietro Alighieri, figlio di Dante, con cui intrattenne rapporti cordiali[72].
La peste nera (1348-1349)
«La vita, come suol dirsi, ci sfuggì dalle mani: le nostre speranze furon sepolte cogli amici nostri. Il 1348 fu l'anno che ci rese miseri e soli.»
(Delle cose familiari, prefazione, A Socrate [Ludwig van Kempen], traduzione di G. Fracassetti, 1, p. 239)
Dopo essersi slegato dai Colonna, Petrarca cominciò a cercare nuovi patroni presso cui ottenere protezione. Pertanto, lasciata Avignone insieme al figlio Giovanni (la cui educazione fu affidata al letterato e grammatico parmenense Moggio Moggi), giunse il 25 gennaio del 1348 a Verona, località dove si era rifugiato l'amico Azzo da Correggio dopo essere stato scacciato dai suoi domini[73], per poi giungere a Parma nel mese di marzo, dove strinse legami con il nuovo signore della città, il signore di Milano Luchino Visconti[74]. Fu, però, in questo periodo che iniziò a diffondersi per l'Europa la terribile peste nera, morbo che causò la morte di molti amici del Petrarca: i fiorentini Sennuccio del Bene, Bruno Casini[75] e Franceschino degli Albizzi; il cardinale Giovanni Colonna e il padre di lui, Stefano il Vecchio[76]; e quella dell'amata Laura, di cui ebbe la notizia (avvenuta l'8 di aprile) soltanto il 19 maggio[77].
Nonostante il dilagare del contagio e la prostrazione psicologica in cui cadde a causa della morte di molti suoi amici, Petrarca continuò le sue peregrinazioni, alla perenne ricerca di un protettore. Lo trovò in Jacopo II da Carrara, suo estimatore che nel 1349 lo nominò canonico del duomo di Padova. Il signore di Padova intese in tal modo trattenere in città il poeta il quale, oltre alla confortevole casa, in virtù del canonicato ottenne una rendita annua di 200 ducati d'oro, ma per alcuni anni Petrarca avrebbe utilizzato questa abitazione solo occasionalmente[78][79]. Difatti, costantemente in preda al desiderio di viaggiare, nel 1349 fu a Mantova, a Ferrara e a Venezia, dove conobbe il doge Andrea Dandolo[80].
Boccaccio (a sinistra) e Petrarca (a destra) in due incisioni di Raffaello Morghen (1758-1833) del 1822. Boccaccio sarà uno dei principali interlocutori di Petrarca tra il 1350 e il 1374 determinando, attraverso tale sodalizio, la nascita dell'umanesimo.
L'incontro con Giovanni Boccaccio e gli amici fiorentini (1350)
Lo stesso argomento in dettaglio: Giovanni Boccaccio § Boccaccio e Petrarca.
Nel 1350 prese la decisione di recarsi a Roma per lucrare l'indulgenza dell'Anno giubilare. Durante il viaggio accondiscese alle richieste dei suoi ammiratori fiorentini e decise di incontrarsi con loro. L’occasione fu di fondamentale importanza non tanto per Petrarca, quanto per colui che diventerà il suo principale interlocutore durante gli ultimi vent'anni di vita, Giovanni Boccaccio. Il novelliere, sotto la sua guida, incominciò una lenta e progressiva conversione verso una mentalità e un approccio più umanistico alla letteratura, collaborando spesso con il suo venerato praeceptor in progetti culturali di ampio respiro. Tra questi ricordiamo la riscoperta del greco antico e la scoperta di antichi codici classici[81].
L'ultimo soggiorno in Provenza (1351-1353)
Tra il 1350 e il 1351, Petrarca risiedette prevalentemente a Padova, presso Francesco I da Carrara[80]. Qui, oltre a portare avanti i progetti letterari delle Familiares e le opere spirituali iniziate prima del 1348, ricevette anche la visita di Giovanni Boccaccio (marzo 1351) in veste di ambasciatore del Comune fiorentino perché accettasse un posto di docente presso il nuovo Studium fiorentino[82]. Poco dopo, Petrarca fu spinto a rientrare ad Avignone in seguito all'incontro con i Cardinali Eli de Talleyrand e Guy de Boulogne, latori della volontà di papa Clemente VI che intendeva affidargli l'incarico di segretario apostolico[83]. Nonostante l'allettante offerta del pontefice, l'antico disprezzo verso Avignone e gli scontri con gli ambienti della corte pontificia (i medici del pontefice[70] e, dopo la morte di Clemente, l'antipatia del nuovo papa Innocenzo VI[84]) indussero Petrarca a lasciare Avignone per Valchiusa, dove prese la decisione definitiva di stabilirsi in Italia.
Il periodo italiano (1353-1374)
A Milano: la figura dell'intellettuale umanista
Targa commemorativa del soggiorno meneghino di Petrarca situata agli inizi di Via Lanzone a Milano, davanti alla basilica di Sant'Ambrogio.
Petrarca iniziò il viaggio verso la patria italiana nell'aprile del 1353[70], accogliendo l'ospitale offerta di Giovanni Visconti, arcivescovo e signore della città, di risiedere a Milano. Malgrado le critiche degli amici fiorentini (tra le quali si ricorda quella risentita del Boccaccio[N 12]), che gli rimproveravano la scelta di essersi messo al servizio dell'acerrimo nemico di Firenze[N 13], Petrarca collaborò con missioni e ambascerie (a Parigi e a Venezia; l'incontro con l'imperatore Carlo IV a Mantova e a Praga) all'intraprendente politica viscontea[85].
Sulla scelta di risiedere a Milano piuttosto che a Firenze, bisogna ricordare l'animo cosmopolita proprio del Petrarca[86]. Cresciuto ramingo e lontano dalla sua patria, Petrarca non risente più dell'attaccamento medievale verso la propria patria d'origine, ma valuta gli inviti fattigli in base alle convenienze economiche e politiche. Meglio, infatti, avere la protezione di un signore potente e ricco come Giovanni Visconti prima e, dopo la morte di lui nel 1354, del successore Galeazzo II[87], che si rallegrerebbero di avere a corte un intellettuale celebre come Petrarca[88]. Nonostante tale scelta discutibile agli occhi degli amici fiorentini, i rapporti tra il praeceptor e i suoi discipuli si ricucirono: la ripresa del rapporto epistolare tra Petrarca e Boccaccio prima, e la visita di quest'ultimo a Milano nella casa di Petrarca situata nei pressi di Sant'Ambrogio poi (1359)[89], sono le prove della concordia ristabilita.
Nonostante le incombenze diplomatiche, nel capoluogo lombardo Petrarca maturò e portò a compimento quel processo di maturazione intellettuale e spirituale iniziato pochi anni prima, passando dalla ricerca erudita e filologica alla produzione di una letteratura filosofica fondata da un lato sull'insoddisfazione per la cultura contemporanea, dall'altra sulla necessità di una produzione che potesse guidare l'umanità verso i principi etico-morali filtrati attraverso il neoplatonismo agostiniano e lo stoicismo cristianeggiante[90]. Con questa convinzione interiore, Petrarca portò avanti gli scritti iniziati nel periodo della peste: il Secretum[91] e il De otio religioso[89]; la composizione di opere volte a fissare presso i posteri l'immagine di un uomo virtuoso i cui principi sono praticati anche nella vita quotidiana (le raccolte delle Familiares e, dal 1361, l'avviamento delle Seniles)[92] le raccolte poetiche latine (Epistolae Metricae) e quelle volgari (i Triumphi e i Rerum Vulgarium Fragmenta, alias il Canzoniere)[93]. Durante il soggiorno meneghino Petrarca iniziò soltanto una nuova opera, il dialogo intitolato De remediis utriusque fortune (sui rimedi della cattiva e della buona sorte), in cui si affrontano problematiche morali concernenti il denaro, la politica, le relazioni sociali e tutto ciò che è legato al quotidiano[94].
Il soggiorno veneziano (1362-1367)
Epigrafe dettata dal Petrarca per la tomba del nipote, Pavia, Musei Civici.
Nel giugno del 1361, per sfuggire alla peste, Petrarca abbandonò Milano[N 14] per Padova, città da cui nel 1362 fuggì per lo stesso motivo. Nonostante la fuga da Milano, i rapporti con Galeazzo II Visconti rimasero sempre molto buoni, tanto che trascorse l'estate del 1369 nel castello visconteo di Pavia in occasione di trattative diplomatiche[95]. A Pavia seppellì il piccolo nipote di due anni, figlio della figlia Francesca, nella chiesa di San Zeno e per lui compose un'epigrafe ancor oggi conservata nei Musei Civici[96]. Nel 1362, quindi, Petrarca si recò a Venezia, città dove si trovava il caro amico Donato degli Albanzani[97] e dove la Repubblica gli concesse in uso Palazzo Molin delle due Torri (sulla Riva degli Schiavoni)[98] in cambio della promessa di donazione, alla morte, della sua biblioteca, che era allora certamente la più grande biblioteca privata d'Europa: si tratta della prima testimonianza di un progetto di "bibliotheca publica"[99].
Lapide ricordo di Petrarca a Venezia sulla Riva degli Schiavoni
La casa veneziana fu molto amata dal poeta, che ne parla indirettamente nella Seniles, IV, 4 quando descrive, al destinatario Pietro da Bologna, le sue abitudini quotidiane (la lettera è datata intorno al 1364/65)[100]. Vi risiedette stabilmente fino al 1368 (tranne alcuni periodi a Pavia e Padova) e vi ospitò Giovanni Boccaccio e Leonzio Pilato. Durante il soggiorno veneziano, trascorso in compagnia degli amici più intimi[101], della figlia naturale Francesca (sposatasi nel 1361 con il milanese Francescuolo da Brossano[102]), Petrarca decise di affidare al copista Giovanni Malpaghini la trascrizione in bella copia delle Familiares e del Canzoniere[N 15]. La tranquillità di quegli anni fu turbata, nel 1367, dall'attacco maldestro e violento mosso alla cultura, all'opera e alla figura sua da quattro filosofi averroisti che lo accusarono di ignoranza[70]. L'episodio fu l'occasione per la stesura del trattato De sui ipsius et multorum ignorantia, in cui Petrarca difende la propria "ignoranza" in campo aristotelico a favore della filosofia neoplatonica-cristiana, più incentrata sui problemi della natura umana rispetto alla prima, intesa a indagare la natura sulla base dei dogmi del filosofo di Stagira[103]. Amareggiato per l'indifferenza dei veneziani davanti alle accuse rivoltegli, Petrarca decise di abbandonare la città lagunare e annullare così la donazione della sua biblioteca alla Serenissima.
L'epilogo padovano e la morte (1367-1374)
La casa di Petrarca ad Arquà Petrarca, località sita sui colli Euganei nei pressi di Padova, dove l'ormai anziano poeta trascorse gli ultimi anni di vita. Della dimora Petrarca parla nella Seniles, XV, 5.
Petrarca, dopo alcuni brevi viaggi, accolse l'invito dell'amico ed estimatore Francesco I da Carrara di stabilirsi a Padova nella primavera del 1368[70]. È ancora visibile, in Via Dietro Duomo 26/28 a Padova, la casa canonicale di Francesco Petrarca, che fu assegnata al poeta in seguito al conferimento del canonicato. Il signore di Padova donò poi, nel 1369, una casa situata nella località di Arquà, un tranquillo paese sui colli Euganei, dove poter vivere[104]. Lo stato della casa, però, era abbastanza dissestato e ci vollero alcuni mesi prima che potesse avvenire il definitivo trasferimento nella nuova dimora, avvenuta nel marzo del 1370[105]. La vita dell'anziano Petrarca, che fu raggiunto dalla famiglia della figlia Francesca nel 1371[106], si alternò prevalentemente tra il soggiorno nella sua amata casa di Arquà[N 16] e quella vicina al Duomo di Padova[107], allietato spesso dalle visite dei suoi vecchi amici ed estimatori, oltre a quelli nuovi conosciuti nella città veneta, tra cui si ricorda Lombardo della Seta, che dal 1367 aveva sostituito Giovanni Malpaghini quale copista e segretario del poeta laureato[108]. In quegli anni Petrarca si mosse dal padovano soltanto una volta quando, nell'ottobre del 1373, fu a Venezia quale paciere per il trattato di pace tra i veneziani e Francesco da Carrara[109]: per il resto del tempo si dedicò alla revisione delle sue opere e, in special modo, del Canzoniere, attività che portò avanti fino agli ultimi giorni di vita[85].
Colpito da una sincope, morì ad Arquà nella notte fra il 18 e il 19 luglio del 1374[109], esattamente alla vigilia del suo 70º compleanno e, secondo la leggenda, mentre esaminava un testo di Virgilio, come auspicato in una lettera al Boccaccio[110]. Il frate dell'Ordine degli Eremitani di sant'Agostino Bonaventura Badoer Peraga fu scelto per tenere l'orazione funebre in occasione dei funerali, che si svolsero il 24 luglio nella chiesa di Santa Maria Assunta alla presenza di Francesco da Carrara e di molte altre personalità laiche ed ecclesiastiche[111
