P.A. Matthiolo - Erbario Matthiolo - 1564-2021





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Dioscoride di Cibo e Mattioli. 1564-1584 ca. The British Library, Londra Ms. 22332. Legatura in pelle con titoli e fregi in oro, custodito dentro una scatola in pelle con fregi in oro. Pagine 370 con 168 miniature a pagina intera. In ottimo stato di conservazione. Edizione di 987 esemplari numerati (nostro n. 311). Manca il volume di studio sugli autori.
Il geniale artista e botanico Gherardo Cibo (1512-1600), pronipote di Papa Innocenzo VIII, è l'autore delle splendide miniature che illuminano questo manoscritto straordinario. Il testo è quello dei Discorsi di Pietro Andrea Mattioli (1501-1577), eminente naturalista nonchè medico personale di Ferdiando II. Nei Discorsi vengono commentati i contenuti del celebre De materia Medica di Dioscoride, con l'aggiunta di molte specie di piante nuove, alcune da poco scoperte in Tirolo, in Oriente e in America. Diversamente da quelle del trattato di Dioscoride, queste specie entrarono a far parte dell'opera per la lori singolarità e bellezza. Il manoscritto, che sarebbe diventato il precursore della botanica moderna, riscosse già ai suoi tempi un successo eccezionale. Delle varie opere che Cibo dipinse basandosi sugli scritti di Mattioli, questa è la più bella, come testimonia una lettera in cui lo stesso Mattioli si congratula calorosamente con Cibo per il risultato del suo lavoro. Un'opera fondamentale per gli amanti della medicina, della botanica e della pittura in generale, per la minuziosità e i colori con cui sono illustrate non solo le diverse specie di piante, ma anche i vibranti paesaggi che fanno loro da sfondo e che spesso ne ritraggono l'habitat naturale.
CIBO, Gherardo
Nacque a Genova nel 1512 da Aranino e da Bianca Vigeri Della Rovere, parente di Francesco Maria I duca d'Urbino e nipote di Marco Vigeri, vescovo di Senigallia. La famiglia paterna apparteneva a un ramo dei Cibo derivato da Teodorina, figlia di Giovanni Battista Cibo, divenuto papa coi nome di Innocenzo VIII.
Da lei e da Gherardo Usodimare di Genova nacque nel 1484 Aranino, che fu custode della rocca di Camerino e morì a Sarzana nel 1568, dopo aver ottenuto il titolo di conte del Palazzo lateranense. Dal matrimonio di Aranino, che aveva ottenuto dal pontefice la concessione di assumere e trasmettere il cognome Cibo, e Bianca Vigeri nacquero, oltre al C., Marzia, Maddalena, Scipione e Maria. Le due sorelle Marzia e Maddalena sposarono rispettivamente il conte Antonio Maurugi di Tolentino e Domenico Passionei, gonfaloniere di Urbino. Da questa famiglia sarebbe nato, due secoli dopo, il cardinale Domenico Passionei, celebre bibliofilo, che diede un grande contributo alla raccolta della Biblioteca Angelica di Roma. Scipione, nato "Genova nel 1531, viaggiò a lungo in Europa" morì nel 1597 a Siena. L'ultima sorella, Maria, fu monaca nel monastero di S. Agata in Arcevia.
Dopo un primo periodo di permanenza nella città natale, il C. trascorse l'adolescenza' a Roma, dove era giunto al seguito della duchessa di Camerino, Caterina Cibo da Varano, sua parente, mtomo al 1526 per motivi di studio e anche per intraprendere la carriera ecclesiastica. Ma il sacco di Roma lo costrinse ad allontanarsi senza indugi dalla città invasa dai lanzichenecchi. Il C. si trattenne per pochi mesi a Camerino presso il duca Giovanni Maria da Varano. Alla morte di quest'ultimo, nell'agosto del 1529, seguì Francesco Maria Della Rovere, capitano generale delle milizie della Chiesa, in una serie di campagne militari nella pianura padana e a Bologna, dove quello era andato per l'incoronazione di Carlo V. A Bologna il C. poté seguire le lezioni di botanica di Luca Ghini fino al 1532.
Questo periodo fu importantissimo per la formazione scientifica del C., che dal Ghini apprese il metodo di raccolta, catalogazione ed agghitinazione delle piante per la formazione di un erbario. Si sa che lo stesso Ghini collezionava piante secche, che talvolta inviava ai botanici contemporanei, come il Mattioli; ma il suo erbario, come quelli dei suoi allievi John Falconer e William Turner, e andato distrutto.
Se già negli anni bolognesi il C. poté iniziare la raccolta di materiale per il suo erbario., fu soprattutto durante i viaggi degli anni successivi che ebbe modo di ampliare l'ambito delle sue ricerche. Nel 1532 infatti il padre lo condusse con sé alla corte di Carlo V, dove era incaricato di trattare per le nozze, poi non avvenute, tra Giulia da Varano, figlia di Caterina Cibo, e Carlo di Lannoy figlio del principe di Sulmona. Questo viaggio di due anni attraverso la valle dell'Adige e del Danubio, da Trento a Ingolstadt e a Ratisbona, nell'Alto Palatinato, fu per il C. una preziosa occasione di ricerche botaniche, proseguite anche al ritorno in Italia.
-ALT
Nel 1534 egli era, ad Agnano presso Lorenzo Cibo, suo parente, e poté compiere accurate escursioni botaniche e mineralogiche nei dintorni di Pisa. Nel 1539 partì nuovamente per la Germania, al seguito del cardinale Alessandro Farnese, uomo colto e generoso che era stato suo compagno di studi a Bologna. Lo spingeva a questo viaggio non solo l'intento scientifico di raccogliere materiale per il suo erbario e di entrare in contatto con botanici stranieri, ma anche il proposito religioso di contribuire alla lotta contro il luteranesimo. Ma fu proprio la sua profonda religiosità a convincerlo a lasciare gli eserciti per tornarsene alla pace dei suoi studi. Può anche darsi che a tale scelta abbia contribuito la politica condotta dai Farnese contro i Cibo e i Della Rovere per il possesso di Camerino. Infatti lo Stato camerinese, antica signoria dei Varano, era passato, per volontà di papa Paolo III Farnese, ad Ottavio, suo nipote; di fronte alle lotte fra la sua famiglia e quella del suo potente protettore Alessandro Farnese, il e preferì ritirarsi in solitudine studiosa a Rocca Contrada (l'attuale Arcevia) nel 1540.
Compì ancora qualche viaggio, nelle Marche, nell'Umbria, a Roma, dove si reco nel 1553; ma praticamente trascorse il resto della sua vita sempre ad Arcevia, da cui partiva per quotidiane escursioni nei d intorni e sull'Appennino marchigiano per la raccolta di vegetali e minerali. Non mancando di spiccate doti artistiche, usava dipingere le piante raccolte con un gusto fianuningo per la minuzia dei particolari; tale attività, in margine e a integrazione della sua curiosità naturalistica, non costituiva un semplice passatempo, poiché i suoi quadri e disegni, conservati ad Arcevia, non mancano di notevoli pregi artistici, soprattutto i paesaggi. Delle sue quotidiane occupazioni si ha notizia attraveriso un Diario, che il C. tenne a partire dal 1553 e di cui il Celani (1902, pp. 208-11) riporta alcuni brani (ma attualmente se nè persa notizia).
Studioso metodico e preciso, il C. aveva come abitudine di postillare e di integrare con note e disegni le opere che egli andava leggendo, come quelle di Plinio, di Leonhart Fuchs, di Garcia Dall'Orto. Notevole soprattutto un'edizione del Dioscoride (Venezia 1568) del botanico senese Pierandrea Mattioli, amico del C. e con lui in corrispondenza epistolare, illustrata con miniature e disegni per il card. Della Rovere (oggi è conservata alla Biblioteca Alessandrina di Roma, segnatura Ae q II). Anche per il cardinale di Urbino e per altri corrispondenti preparò vari disegni, tra cui notevoli ampie tavole di zoologia (anchesse nella Biblioteca Alessandrina di Roma, MS. 2).
Nonostante la sua vita ritirata, piuttosto insolita per uno scienziato, il C. fu in corrispondenza con i botanici più esperti dei tempo, da Ulisse Aldrovandi ad Andrea Bacci, dal Fuchs al citato Mattioli. Non si ha notizia di suoi rapporti col Cesalpino, anche egli allievo del Ghini (non a Bologna però, bensì a Pisa) e in corrispondenza con l'Aldrovandi e il Bacci. D'altronde i criteri ordinativi dell'erbario del Cesalpino sono diversi da quelli del C., il cui hortus siccus non ha ordinamento sistematico, bensì alfabetico, come quello dell'Aldrovandi. Questa comcidenza di metodo si può ricondurre sia al comune maestro Ghini sia agli stretti rapporti intercorsi tra l'Aldrovandi e il Cibo. In una lettera del 1576 (pubblicata da De Toni, pp. 103-108) l'Aldrovandi dimostra di conoscere l'erbario del C. e di possederne l'indice; egli invia all'amico alcuni chiarimenti su diverse piante, tra cui la Lunaria tonda (di cui il C. gli aveva inviato un disegno), e su un favoloso serpente a due teste, l'anfisbena. Su questo curioso rettile il C: aveva scritto, a dire dell'Aldrovandi (in Serpentum et draconum historiae libri duo, Bononiae 1640 [ma 1639], p. 238), una memoria, in cui affermava d'averlo visto. Pare comunque certo che egli avesse inviato più volte pezzi di pregio per il museo naturale aldrovandiano, e che quindi tale rapportò abbia avuto per entrambi effetti stimolanti. Oltre alla memoria suddetta, citata solo dall'Aldrovandi, non si ha notizia di altre opere del C., ché tali non possono considerarsi le opere d'altri autori (conservate alla Biblioteca Angelica), da lui commentate con annotazioni mediche, botaniche e minerologiche, o le ricette sparse nelle lettere (ad es. quella pubbl. dal Celani, 1902, pp. 222-26). Ciò giustifica il silenzio dei repertori e delle opere botaniche contemporanee su di lui.
L'attribuzione al C. dell'erbario conservato alla Biblioteca Angelica di Roma e studiato particolarmente da E. Celani e O. Penzig suscitò negli anni 1907-1909 una vivace polemica tra il Celani da lina parte e il Chiovenda e il De Toni dall'altra, poiché questi ultimi sostennero che autore della maggior parte di tale erbario non era il C., bensì il botanico viterbese Francesco Petrollini, anch'egli della cerchia aldrovandiana, anzi maestro e guida dell'Aldrovandi nella raccolta degli esemplari vegetali. Non è possibile dire la parola definitiva sulla questione; quello che è certo è che l'erbario conservato all'Angelica è il più antico tra quelli giunti fino a noi. Risulta. composto di cinque volumi: il primo, denominato "A" dal Penzig, è assai rovinato e conta trecentoventidue fogli non numerati con quattrocentonovanta esemplari di flora alpina e subalpina, senza alcun criterio sistematico (potrebbe essere questo, contro l'opinione del Chiovenda, l'erbario del C. cui accenna l'Adrovandi nella lettera sopra citata); gli altri quattro volumi (erbario "B"), completati prima del 1551, complessivamente sono costituiti di novecentotrentotto fogli con milletrecentoquarantasei esemplari, di cui molti della stessa specie. E numero e la varietà delle specie rappresentate, pur con non pochi errori e ripetizioni, lo pongono al di sopra di ogni altro erbario del secolo, se si eccettua quello aldrovandiano (limitato alla flora bolognese).
Ad Arcevia il C. assunse una posizione d'autorità pur senza rivestire cariche pubbliche. Era spesso consultato per. comporre dissidi e rivalità; contribuì alla fondazione di un Monte di pietà e, soprattutto in occasione di una terribile carestia nel 1590, si dedicò ad.una generosa attività filantropica.
Morì ad Arcevia (Ancona) il 30 gennaio del 1600 e fu sepolto nella chiesa di S. Francesco.
Pietro Andrea Mattioli (Siena, 12 marzo 1501 – Trento, 1578) è stato un umanista, medico e botanico italiano.
Biografia
Origini e apprendistato
Nacque a Siena nel 1501 (1500 ab incarnatione), ma passò la sua infanzia a Venezia, dove il padre, Francesco, esercitava la professione di medico.
Appena sufficientemente grande, il padre lo mandò a Padova dove iniziò a studiare varie materie umanistiche, come il latino, il greco antico, la retorica e la filosofia. Tuttavia Pietro Andrea si appassionò più che altro alla medicina, e proprio in questa materia si laureò nel 1523. Quando il padre morì, tornò tuttavia a Siena, ma la città era sconvolta da una faida fra famiglie rivali per cui decise di recarsi a Perugia per studiare chirurgia sotto il maestro Gregorio Caravita.
Da lì si trasferì a Roma dove continuò i suoi studi medici presso l'Ospedale di Santo Spirito e lo Xenodochium San Giacomo per gli incurabili, ma nel 1527, a causa del sacco da parte dei Lanzichenecchi, decise di lasciare la città per trasferirsi a Trento, dove rimase per un trentennio.
A Trento e Gorizia
Effigie di Mattioli al Museo della Specola, Firenze
Andò quindi a vivere in Val di Non e presto la sua fama giunse alle orecchie del principe-vescovo Bernardo Clesio che lo invitò presso il castello del Buonconsiglio offrendogli il posto di consigliere e medico personale. Proprio al vescovo Clesio, al quale Mattioli dedicò poi due delle sue prime opere, una delle quali, il poema in versi Il Magno Palazzo del Cardinale di Trento descriveva in dettaglio la ristrutturazione di carattere rinascimentale che il vescovo ordinò per il suo castello. Il poema, pubblicato nel 1539 dal Marcolini a Venezia, utilizzava la struttura dell'ottava rima, come quella che usava il Boccaccio, ma non era un'opera dello stesso livello di quelle di altri poeti dell'epoca.
Nel 1528 Mattioli sposò una donna trentina, una tal Elisabetta della quale non è noto il cognome e gli diede un figlio. Cinque anni dopo pubblicò il suo primo libello, Morbi Gallici Novum ac Utilissimum Opusculum, e iniziò a lavorare alla sua opera su Dioscoride Anazarbeo. Nel 1536 Mattioli accompagnò come medico Bernardo Clesio a Napoli per un incontro con l'imperatore Carlo V. Tornato a Trento, con la morte di Bernardo Clesio, nel 1539, gli successe al soglio vescovile Cristoforo Madruzzo, il quale però aveva già un medico e così Mattioli decise di trasferirsi a Cles, dove tuttavia si trovò presto in ristrettezze finanziarie.
Tra il 1541 e il 1542 Mattioli si trasferì di nuovo a Gorizia, dove praticò la professione di medico e lavorò alla traduzione del De Materia Medica di Dioscoride dal greco, aggiungendovi i suoi discorsi e commenti. Poi, finalmente, nel 1544 pubblicò per la prima volta la sua opera principale, Di Pedacio Dioscoride Anazarbeo Libri cinque Della historia, et materia medicinale tradotti in lingua volgare italiana da M. Pietro Andrea Matthiolo Sanese Medico, con amplissimi discorsi, et comenti, et dottissime annotationi, et censure del medesimo interprete, più comunemente conosciuto come i Discorsi di Pier Andrea Mattioli sull'opera di Dioscoride. La prima stesura fu pubblicata a Venezia senza illustrazioni e dedicata al cardinale Cristoforo Madruzzo, principe-vescovo di Trento e Bressanone.
Da notare che Mattioli non si limitò a tradurre l'opera di Dioscoride, ma la completò con i risultati di una serie di ricerche su piante dalle proprietà ancora sconosciute all'epoca, trasformando i Discorsi in un'opera fondamentale sulle piante medicinali, un vero punto di riferimento per scienziati e medici per diversi secoli.
Nel 1548 pubblicò la seconda edizione dei Discorsi di Mattioli su Dioscoride, con l'aggiunta del sesto libro sui rimedi contro i veleni, considerato apocrifo da molti. In seguito vennero pubblicate molte altre edizioni, alcune tuttavia senza la sua approvazione. Ricevette anche molte critiche da notabili dell'epoca. Nel 1554 fu pubblicata la prima edizione latina dei Discorsi di Mattioli, chiamata anche Commentarii, ovvero Petri Andreae Matthioli Medici Senensis Commentarii, in Libros sex Pedacii Dioscoridis Anazarbei, de Materia Medica, Adjectis quàm plurimis plantarum & animalium imaginibus, eodem authore; fu la prima edizione ad essere illustrata ed è dedicata a Ferdinando I d'Asburgo, allora Principe dei Romani, di Pannonia e di Boemia, infante di Spagna, arciduca d'Austra, duca di Borgogna, conte e signore del Tirolo. In seguito venne tradotta anche in francese (1561), ceco (1562) e tedesco (1563).
Alla corte imperiale
Monumento funebre di Pietro Andrea Mattioli, Duomo di Trento
In seguito a tanta fama e successo, Ferdinando I chiamò Mattioli a Praga come medico personale del suo secondogenito, l'arciduca Ferdinando. Prima di partire, tuttavia, gli abitanti di Gorizia decisero di donargli una preziosa catena d'oro che si può vedere in molte delle sue raffigurazioni, come segno di stima e affetto. Nel 1555 Mattioli si trasferì a Praga, anche se già l'anno successivo fu costretto a seguire, suo malgrado, l'arciduca Ferdinando in Ungheria nella guerra contro i Turchi.
Nel 1557 si sposò per la seconda volta con una nobile goriziana, Girolama di Varmo, dalla quale ebbe due figli, Ferdinando nel 1562 e Massimiliano nel 1568, i cui nomi sono scelti chiaramente in onore della casa reale. Il 13 luglio 1562 Mattioli venne nominato da Ferdinando Consigliere Aulico e nobile del Sacro Romano Impero. Quando Ferdinando morì nel 1564 era da poco salito al trono Massimiliano II. Per un po' Mattioli restò al servizio del nuovo sovrano, ma nel 1571 decise di ritirarsi definitivamente a Trento. Due anni prima si era sposato per la terza volta, di nuovo con una donna trentina, una tale Susanna Caerubina.
Nel 1578 (1577 ab incarnatione) Pietro Andrea Mattioli morì di peste a Trento nel mese di gennaio o di febbraio. I figli Ferdinando e Massimiliano gli dedicarono un magnifico monumento funebre nel Duomo della città, (tuttora esistente) grazie al ruolo di archiatra, medico del Concilio di Trento e quindi del principe Vescovo Bernardo Clesio.
Il genere di piante Matthiola è stato così chiamato dal botanico Robert Brown in onore del Mattioli.[1]
Mattioli è l'abbreviazione standard utilizzata per le piante descritte da Pietro Andrea Mattioli.
Consulta l'elenco delle piante assegnate a questo autore dall'IPNI.
Opere
Trifolium acetosum (Oxalis) tratto dai Commentarii
Commentarii in sex libros Pedacii Dioscoridis Anazarbei de medica materia, 1565
1533, Morbi Gallici Novum ac Utilissimum Opusculum
1535, Liber de Morbo Gallico, dedicato a Bernardo Clesio
1536, De Morbi Gallici Curandi Ratione
1539, Il Magno Palazzo del Cardinale di Trento
1544, Di Pedacio Dioscoride Anazarbeo Libri cinque Della historia, et materia medicinale tradotti in lingua volgare italiana da M. Pietro Andrea Matthiolo Sanese Medico, con amplissimi discorsi, et comenti, et dottissime annotationi, et censure del medesimo interprete, detti Discorsi
1548, Traduzione in italiano della Geografia di Tolomeo
1554, Petri Andreae Matthioli Medici Senensis Commentarii, in Libros sex Pedacii Dioscoridis Anazarbei, de Materia Medica, Adjectis quàm plurimis plantarum & animalium imaginibus, eodem authore, detti Commentarii
1558, Apologia Adversus Amatum Lusitanum
1561, Epistolarum Medicinalium Libri Quinque
(LA) Commentarii in sex libros Pedacii Dioscoridis Anazarbei de medica materia, Venezia, Vincenzo Valgrisi, 1565.
1569, Opusculum de Simplicium Medicamentorum Facultatibus
1571, Compendium de Plantis Omnibus una cum Earum Iconibus
(LA) De plantis, Venezia, Vincenzo Valgrisi, 1571.
(LA) De plantis, Frankfurt am Main, Johann Feyerabend, 1586.
Dioscoride Pedanio
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Cronologia
Strumenti
Miniatura medievale, tratta dal Dioscoride viennese
Dioscoride Pedanio (in greco antico: Πεδάνιος Διοσκουρίδης?, Pedánios Dioskourídēs; Anazarbo, 40 circa – 90 circa) è stato un botanico e medico greco antico vissuto nella Roma imperiale durante l'impero di Nerone.
Viene citato da Dante nel quarto canto dell'Inferno, nel limbo, con l'epiteto di «buono accoglitor del quale», cioè della qualità delle erbe.[1]
Opere
Lo stesso argomento in dettaglio: De materia medica.
Pagine con cumino e aneto della versione araba del 1334 del De materia medica, conservata al British Museum di Londra.
Dioscoride di Anazarbo è noto principalmente come autore del trattato Sulla materia medica. Si tratta di un erbario scritto originariamente in lingua greca, che ebbe una certa influenza nella medicina medievale. Rimase in uso, sotto forma spuria di traduzioni e commenti, fino circa al XVII secolo, quando venne superato dalla nascita della medicina moderna.
Dioscoride ritratto nel De natura medica in una versione araba del XIII secolo
Dioscoride descrive anche un macchinario rudimentale per la distillazione, dotato di un serbatoio con una sorta di testa superiore, da cui i vapori entrano in una struttura dove vengono raffreddati e poi subiscono condensazione. Questi elementi solitamente mancheranno negli apparati di distillazione medievali.
Oltre che in area greca e romana, l'opera fu conosciuta anche dagli arabi e in Asia. Ci sono pervenuti infatti svariati manoscritti di traduzioni arabe e indiane dell'opera.
Un gran numero di manoscritti illustrati testimoniano la diffusione dell'opera. Alcuni di essi risalgono circa al periodo che va dal V secolo al VII secolo dopo Cristo; il più noto tra essi è il Codex Aniciae Julianae. La principale traduzione italiana di Dioscoride è in occasione della pubblicazione della cinquecentina: I discorsi... nelli sei libri di Pedacio Dioscoride... della materia medicinale, di Valgrisi del 1568, di Mattioli. L'edizione stampata del Mattioli conteneva un commento e delle illustrazioni di buona qualità che rendevano più facile il riconoscimento della pianta.
Lucia Tongiorgi Tomasi
"Io hebbi già fanno alquanti mesi insieme co' una lettera di Vostra Signoria una pianta miniata di sua mano la più bella che mai io habbi veduto in tutto il tempo di mia vita or me do a credere che Vostra Signoria in far piante co' il pennello non habbi pari al mondo... le dico solo che la pianta mandatami mi sono fatta carissima et la tengo governata come le gioie, et se io possa vedere il suo libro ove penso habbi di così fatte qualche centinaio io me lo reputerei a grandissimo favor del Cielo. Per che non so veramente che cosa potessi vedere con più sodisfattione del cuore, et dell'animo mio, et chi sa che forse un giorno Roma non mi rivegga: se ben son
vecchio."
È questo un brano di una missiva inviata "Al molto Magnifico... Signor Gherardo Cibo" il 19 novembre 1565 incollata sul piatto anteriore di un manoscritto illustrato (Add. 22333) conservato presso la British Library. Il suo omologo, il Dioscoride di Cibo e Mattioli (Add. 22332), si impone tra i più rilevanti manoscritti di botanica conservati presso la biblioteca di Londra. Autore della missiva era Pietro Andrea Mattioli, naturalista al servizio della corte asburgica di Praga, da tempo impegnato nella ricerca di immagini di piante da inserire nel commento all'opera del medico greco Dioscoride - i Commentarii o Discorsi -, una pietra miliare nella storia della botanica europea.
ARTE E BOTANICA
L'artista cui Mattioli si rivolgeva con apprezzamenti tanto lusinghieri era Gherardo Cibo, ammirato anche da altri insigni uomini di scienza, tra i quali il romano Andrea Bacci e il bolognese Ulisse Aldrovandi. Ciò nonostante, la figura di Gherardo Cibo è sparita dal palcoscenico della storia (e anche da quello artistico e scientifico), per avere scelto di vivere in un volontario isolamento, lontano dai circuiti elitari ed editoriali del suo tempo. Soltanto agli inizi del secolo scorso un colto bibliotecario della Biblioteca Angelica di Roma - Enrico Celani - gli attribuì cinque "polverosi volumi, mal ridotti, rovinati nelle legature" di un erbario di 1800 esemplari essiccati e, sulla base di un diario oggi perduto, rese noti alcuni episodi della vita di Gherardo.
Ma chi era il nostro personaggio? Pronipote del papa Innocenzo VIII (Giovanbattista Cibo), nasce a Roma nel 1512, dove trascorse gran parte della prima giovinezza, forse destinato alla carriera ecclesiastica e dove, da adolescente, lo colse la tragedia del Sacco dei Lanzichenecchi, costringendolo a rifugiarsi nelle Marche, regione di origine della madre, imparentata coi Duchi di Urbino. Dimorando successivamente per qualche tempo a Bologna, sembra abbia seguito le lezioni universitarie del celebre botanico Luca Ghini, dal quale trasse l'interesse per il mondo vegetale e l'abilità nell'allestimento degli erbari essiccati. Gherardo ebbe poi occasione di accompagnare il padre Aranino in due importanti ambascerie papali: la prima li portò a Ratisbona dove incontrarono Carlo V d'Asburgo; la seconda a Parigi presso il re Francesco I, dove incontrarono nuovamente Carlo V, accompagnandolo poi nel viaggio di ritorno nei Paesi Bassi. Nel corso di questi spostamenti non tralasciò di studiare numerose piante, venendo forse anche a conoscenza della produzione artistica fiamminga, che avrà più tardi una marcata influenza sulla sua opera. [...]
Dioscoride di Cibo e Mattioli. 1564-1584 ca. The British Library, Londra Ms. 22332. Legatura in pelle con titoli e fregi in oro, custodito dentro una scatola in pelle con fregi in oro. Pagine 370 con 168 miniature a pagina intera. In ottimo stato di conservazione. Edizione di 987 esemplari numerati (nostro n. 311). Manca il volume di studio sugli autori.
Il geniale artista e botanico Gherardo Cibo (1512-1600), pronipote di Papa Innocenzo VIII, è l'autore delle splendide miniature che illuminano questo manoscritto straordinario. Il testo è quello dei Discorsi di Pietro Andrea Mattioli (1501-1577), eminente naturalista nonchè medico personale di Ferdiando II. Nei Discorsi vengono commentati i contenuti del celebre De materia Medica di Dioscoride, con l'aggiunta di molte specie di piante nuove, alcune da poco scoperte in Tirolo, in Oriente e in America. Diversamente da quelle del trattato di Dioscoride, queste specie entrarono a far parte dell'opera per la lori singolarità e bellezza. Il manoscritto, che sarebbe diventato il precursore della botanica moderna, riscosse già ai suoi tempi un successo eccezionale. Delle varie opere che Cibo dipinse basandosi sugli scritti di Mattioli, questa è la più bella, come testimonia una lettera in cui lo stesso Mattioli si congratula calorosamente con Cibo per il risultato del suo lavoro. Un'opera fondamentale per gli amanti della medicina, della botanica e della pittura in generale, per la minuziosità e i colori con cui sono illustrate non solo le diverse specie di piante, ma anche i vibranti paesaggi che fanno loro da sfondo e che spesso ne ritraggono l'habitat naturale.
CIBO, Gherardo
Nacque a Genova nel 1512 da Aranino e da Bianca Vigeri Della Rovere, parente di Francesco Maria I duca d'Urbino e nipote di Marco Vigeri, vescovo di Senigallia. La famiglia paterna apparteneva a un ramo dei Cibo derivato da Teodorina, figlia di Giovanni Battista Cibo, divenuto papa coi nome di Innocenzo VIII.
Da lei e da Gherardo Usodimare di Genova nacque nel 1484 Aranino, che fu custode della rocca di Camerino e morì a Sarzana nel 1568, dopo aver ottenuto il titolo di conte del Palazzo lateranense. Dal matrimonio di Aranino, che aveva ottenuto dal pontefice la concessione di assumere e trasmettere il cognome Cibo, e Bianca Vigeri nacquero, oltre al C., Marzia, Maddalena, Scipione e Maria. Le due sorelle Marzia e Maddalena sposarono rispettivamente il conte Antonio Maurugi di Tolentino e Domenico Passionei, gonfaloniere di Urbino. Da questa famiglia sarebbe nato, due secoli dopo, il cardinale Domenico Passionei, celebre bibliofilo, che diede un grande contributo alla raccolta della Biblioteca Angelica di Roma. Scipione, nato "Genova nel 1531, viaggiò a lungo in Europa" morì nel 1597 a Siena. L'ultima sorella, Maria, fu monaca nel monastero di S. Agata in Arcevia.
Dopo un primo periodo di permanenza nella città natale, il C. trascorse l'adolescenza' a Roma, dove era giunto al seguito della duchessa di Camerino, Caterina Cibo da Varano, sua parente, mtomo al 1526 per motivi di studio e anche per intraprendere la carriera ecclesiastica. Ma il sacco di Roma lo costrinse ad allontanarsi senza indugi dalla città invasa dai lanzichenecchi. Il C. si trattenne per pochi mesi a Camerino presso il duca Giovanni Maria da Varano. Alla morte di quest'ultimo, nell'agosto del 1529, seguì Francesco Maria Della Rovere, capitano generale delle milizie della Chiesa, in una serie di campagne militari nella pianura padana e a Bologna, dove quello era andato per l'incoronazione di Carlo V. A Bologna il C. poté seguire le lezioni di botanica di Luca Ghini fino al 1532.
Questo periodo fu importantissimo per la formazione scientifica del C., che dal Ghini apprese il metodo di raccolta, catalogazione ed agghitinazione delle piante per la formazione di un erbario. Si sa che lo stesso Ghini collezionava piante secche, che talvolta inviava ai botanici contemporanei, come il Mattioli; ma il suo erbario, come quelli dei suoi allievi John Falconer e William Turner, e andato distrutto.
Se già negli anni bolognesi il C. poté iniziare la raccolta di materiale per il suo erbario., fu soprattutto durante i viaggi degli anni successivi che ebbe modo di ampliare l'ambito delle sue ricerche. Nel 1532 infatti il padre lo condusse con sé alla corte di Carlo V, dove era incaricato di trattare per le nozze, poi non avvenute, tra Giulia da Varano, figlia di Caterina Cibo, e Carlo di Lannoy figlio del principe di Sulmona. Questo viaggio di due anni attraverso la valle dell'Adige e del Danubio, da Trento a Ingolstadt e a Ratisbona, nell'Alto Palatinato, fu per il C. una preziosa occasione di ricerche botaniche, proseguite anche al ritorno in Italia.
-ALT
Nel 1534 egli era, ad Agnano presso Lorenzo Cibo, suo parente, e poté compiere accurate escursioni botaniche e mineralogiche nei dintorni di Pisa. Nel 1539 partì nuovamente per la Germania, al seguito del cardinale Alessandro Farnese, uomo colto e generoso che era stato suo compagno di studi a Bologna. Lo spingeva a questo viaggio non solo l'intento scientifico di raccogliere materiale per il suo erbario e di entrare in contatto con botanici stranieri, ma anche il proposito religioso di contribuire alla lotta contro il luteranesimo. Ma fu proprio la sua profonda religiosità a convincerlo a lasciare gli eserciti per tornarsene alla pace dei suoi studi. Può anche darsi che a tale scelta abbia contribuito la politica condotta dai Farnese contro i Cibo e i Della Rovere per il possesso di Camerino. Infatti lo Stato camerinese, antica signoria dei Varano, era passato, per volontà di papa Paolo III Farnese, ad Ottavio, suo nipote; di fronte alle lotte fra la sua famiglia e quella del suo potente protettore Alessandro Farnese, il e preferì ritirarsi in solitudine studiosa a Rocca Contrada (l'attuale Arcevia) nel 1540.
Compì ancora qualche viaggio, nelle Marche, nell'Umbria, a Roma, dove si reco nel 1553; ma praticamente trascorse il resto della sua vita sempre ad Arcevia, da cui partiva per quotidiane escursioni nei d intorni e sull'Appennino marchigiano per la raccolta di vegetali e minerali. Non mancando di spiccate doti artistiche, usava dipingere le piante raccolte con un gusto fianuningo per la minuzia dei particolari; tale attività, in margine e a integrazione della sua curiosità naturalistica, non costituiva un semplice passatempo, poiché i suoi quadri e disegni, conservati ad Arcevia, non mancano di notevoli pregi artistici, soprattutto i paesaggi. Delle sue quotidiane occupazioni si ha notizia attraveriso un Diario, che il C. tenne a partire dal 1553 e di cui il Celani (1902, pp. 208-11) riporta alcuni brani (ma attualmente se nè persa notizia).
Studioso metodico e preciso, il C. aveva come abitudine di postillare e di integrare con note e disegni le opere che egli andava leggendo, come quelle di Plinio, di Leonhart Fuchs, di Garcia Dall'Orto. Notevole soprattutto un'edizione del Dioscoride (Venezia 1568) del botanico senese Pierandrea Mattioli, amico del C. e con lui in corrispondenza epistolare, illustrata con miniature e disegni per il card. Della Rovere (oggi è conservata alla Biblioteca Alessandrina di Roma, segnatura Ae q II). Anche per il cardinale di Urbino e per altri corrispondenti preparò vari disegni, tra cui notevoli ampie tavole di zoologia (anchesse nella Biblioteca Alessandrina di Roma, MS. 2).
Nonostante la sua vita ritirata, piuttosto insolita per uno scienziato, il C. fu in corrispondenza con i botanici più esperti dei tempo, da Ulisse Aldrovandi ad Andrea Bacci, dal Fuchs al citato Mattioli. Non si ha notizia di suoi rapporti col Cesalpino, anche egli allievo del Ghini (non a Bologna però, bensì a Pisa) e in corrispondenza con l'Aldrovandi e il Bacci. D'altronde i criteri ordinativi dell'erbario del Cesalpino sono diversi da quelli del C., il cui hortus siccus non ha ordinamento sistematico, bensì alfabetico, come quello dell'Aldrovandi. Questa comcidenza di metodo si può ricondurre sia al comune maestro Ghini sia agli stretti rapporti intercorsi tra l'Aldrovandi e il Cibo. In una lettera del 1576 (pubblicata da De Toni, pp. 103-108) l'Aldrovandi dimostra di conoscere l'erbario del C. e di possederne l'indice; egli invia all'amico alcuni chiarimenti su diverse piante, tra cui la Lunaria tonda (di cui il C. gli aveva inviato un disegno), e su un favoloso serpente a due teste, l'anfisbena. Su questo curioso rettile il C: aveva scritto, a dire dell'Aldrovandi (in Serpentum et draconum historiae libri duo, Bononiae 1640 [ma 1639], p. 238), una memoria, in cui affermava d'averlo visto. Pare comunque certo che egli avesse inviato più volte pezzi di pregio per il museo naturale aldrovandiano, e che quindi tale rapportò abbia avuto per entrambi effetti stimolanti. Oltre alla memoria suddetta, citata solo dall'Aldrovandi, non si ha notizia di altre opere del C., ché tali non possono considerarsi le opere d'altri autori (conservate alla Biblioteca Angelica), da lui commentate con annotazioni mediche, botaniche e minerologiche, o le ricette sparse nelle lettere (ad es. quella pubbl. dal Celani, 1902, pp. 222-26). Ciò giustifica il silenzio dei repertori e delle opere botaniche contemporanee su di lui.
L'attribuzione al C. dell'erbario conservato alla Biblioteca Angelica di Roma e studiato particolarmente da E. Celani e O. Penzig suscitò negli anni 1907-1909 una vivace polemica tra il Celani da lina parte e il Chiovenda e il De Toni dall'altra, poiché questi ultimi sostennero che autore della maggior parte di tale erbario non era il C., bensì il botanico viterbese Francesco Petrollini, anch'egli della cerchia aldrovandiana, anzi maestro e guida dell'Aldrovandi nella raccolta degli esemplari vegetali. Non è possibile dire la parola definitiva sulla questione; quello che è certo è che l'erbario conservato all'Angelica è il più antico tra quelli giunti fino a noi. Risulta. composto di cinque volumi: il primo, denominato "A" dal Penzig, è assai rovinato e conta trecentoventidue fogli non numerati con quattrocentonovanta esemplari di flora alpina e subalpina, senza alcun criterio sistematico (potrebbe essere questo, contro l'opinione del Chiovenda, l'erbario del C. cui accenna l'Adrovandi nella lettera sopra citata); gli altri quattro volumi (erbario "B"), completati prima del 1551, complessivamente sono costituiti di novecentotrentotto fogli con milletrecentoquarantasei esemplari, di cui molti della stessa specie. E numero e la varietà delle specie rappresentate, pur con non pochi errori e ripetizioni, lo pongono al di sopra di ogni altro erbario del secolo, se si eccettua quello aldrovandiano (limitato alla flora bolognese).
Ad Arcevia il C. assunse una posizione d'autorità pur senza rivestire cariche pubbliche. Era spesso consultato per. comporre dissidi e rivalità; contribuì alla fondazione di un Monte di pietà e, soprattutto in occasione di una terribile carestia nel 1590, si dedicò ad.una generosa attività filantropica.
Morì ad Arcevia (Ancona) il 30 gennaio del 1600 e fu sepolto nella chiesa di S. Francesco.
Pietro Andrea Mattioli (Siena, 12 marzo 1501 – Trento, 1578) è stato un umanista, medico e botanico italiano.
Biografia
Origini e apprendistato
Nacque a Siena nel 1501 (1500 ab incarnatione), ma passò la sua infanzia a Venezia, dove il padre, Francesco, esercitava la professione di medico.
Appena sufficientemente grande, il padre lo mandò a Padova dove iniziò a studiare varie materie umanistiche, come il latino, il greco antico, la retorica e la filosofia. Tuttavia Pietro Andrea si appassionò più che altro alla medicina, e proprio in questa materia si laureò nel 1523. Quando il padre morì, tornò tuttavia a Siena, ma la città era sconvolta da una faida fra famiglie rivali per cui decise di recarsi a Perugia per studiare chirurgia sotto il maestro Gregorio Caravita.
Da lì si trasferì a Roma dove continuò i suoi studi medici presso l'Ospedale di Santo Spirito e lo Xenodochium San Giacomo per gli incurabili, ma nel 1527, a causa del sacco da parte dei Lanzichenecchi, decise di lasciare la città per trasferirsi a Trento, dove rimase per un trentennio.
A Trento e Gorizia
Effigie di Mattioli al Museo della Specola, Firenze
Andò quindi a vivere in Val di Non e presto la sua fama giunse alle orecchie del principe-vescovo Bernardo Clesio che lo invitò presso il castello del Buonconsiglio offrendogli il posto di consigliere e medico personale. Proprio al vescovo Clesio, al quale Mattioli dedicò poi due delle sue prime opere, una delle quali, il poema in versi Il Magno Palazzo del Cardinale di Trento descriveva in dettaglio la ristrutturazione di carattere rinascimentale che il vescovo ordinò per il suo castello. Il poema, pubblicato nel 1539 dal Marcolini a Venezia, utilizzava la struttura dell'ottava rima, come quella che usava il Boccaccio, ma non era un'opera dello stesso livello di quelle di altri poeti dell'epoca.
Nel 1528 Mattioli sposò una donna trentina, una tal Elisabetta della quale non è noto il cognome e gli diede un figlio. Cinque anni dopo pubblicò il suo primo libello, Morbi Gallici Novum ac Utilissimum Opusculum, e iniziò a lavorare alla sua opera su Dioscoride Anazarbeo. Nel 1536 Mattioli accompagnò come medico Bernardo Clesio a Napoli per un incontro con l'imperatore Carlo V. Tornato a Trento, con la morte di Bernardo Clesio, nel 1539, gli successe al soglio vescovile Cristoforo Madruzzo, il quale però aveva già un medico e così Mattioli decise di trasferirsi a Cles, dove tuttavia si trovò presto in ristrettezze finanziarie.
Tra il 1541 e il 1542 Mattioli si trasferì di nuovo a Gorizia, dove praticò la professione di medico e lavorò alla traduzione del De Materia Medica di Dioscoride dal greco, aggiungendovi i suoi discorsi e commenti. Poi, finalmente, nel 1544 pubblicò per la prima volta la sua opera principale, Di Pedacio Dioscoride Anazarbeo Libri cinque Della historia, et materia medicinale tradotti in lingua volgare italiana da M. Pietro Andrea Matthiolo Sanese Medico, con amplissimi discorsi, et comenti, et dottissime annotationi, et censure del medesimo interprete, più comunemente conosciuto come i Discorsi di Pier Andrea Mattioli sull'opera di Dioscoride. La prima stesura fu pubblicata a Venezia senza illustrazioni e dedicata al cardinale Cristoforo Madruzzo, principe-vescovo di Trento e Bressanone.
Da notare che Mattioli non si limitò a tradurre l'opera di Dioscoride, ma la completò con i risultati di una serie di ricerche su piante dalle proprietà ancora sconosciute all'epoca, trasformando i Discorsi in un'opera fondamentale sulle piante medicinali, un vero punto di riferimento per scienziati e medici per diversi secoli.
Nel 1548 pubblicò la seconda edizione dei Discorsi di Mattioli su Dioscoride, con l'aggiunta del sesto libro sui rimedi contro i veleni, considerato apocrifo da molti. In seguito vennero pubblicate molte altre edizioni, alcune tuttavia senza la sua approvazione. Ricevette anche molte critiche da notabili dell'epoca. Nel 1554 fu pubblicata la prima edizione latina dei Discorsi di Mattioli, chiamata anche Commentarii, ovvero Petri Andreae Matthioli Medici Senensis Commentarii, in Libros sex Pedacii Dioscoridis Anazarbei, de Materia Medica, Adjectis quàm plurimis plantarum & animalium imaginibus, eodem authore; fu la prima edizione ad essere illustrata ed è dedicata a Ferdinando I d'Asburgo, allora Principe dei Romani, di Pannonia e di Boemia, infante di Spagna, arciduca d'Austra, duca di Borgogna, conte e signore del Tirolo. In seguito venne tradotta anche in francese (1561), ceco (1562) e tedesco (1563).
Alla corte imperiale
Monumento funebre di Pietro Andrea Mattioli, Duomo di Trento
In seguito a tanta fama e successo, Ferdinando I chiamò Mattioli a Praga come medico personale del suo secondogenito, l'arciduca Ferdinando. Prima di partire, tuttavia, gli abitanti di Gorizia decisero di donargli una preziosa catena d'oro che si può vedere in molte delle sue raffigurazioni, come segno di stima e affetto. Nel 1555 Mattioli si trasferì a Praga, anche se già l'anno successivo fu costretto a seguire, suo malgrado, l'arciduca Ferdinando in Ungheria nella guerra contro i Turchi.
Nel 1557 si sposò per la seconda volta con una nobile goriziana, Girolama di Varmo, dalla quale ebbe due figli, Ferdinando nel 1562 e Massimiliano nel 1568, i cui nomi sono scelti chiaramente in onore della casa reale. Il 13 luglio 1562 Mattioli venne nominato da Ferdinando Consigliere Aulico e nobile del Sacro Romano Impero. Quando Ferdinando morì nel 1564 era da poco salito al trono Massimiliano II. Per un po' Mattioli restò al servizio del nuovo sovrano, ma nel 1571 decise di ritirarsi definitivamente a Trento. Due anni prima si era sposato per la terza volta, di nuovo con una donna trentina, una tale Susanna Caerubina.
Nel 1578 (1577 ab incarnatione) Pietro Andrea Mattioli morì di peste a Trento nel mese di gennaio o di febbraio. I figli Ferdinando e Massimiliano gli dedicarono un magnifico monumento funebre nel Duomo della città, (tuttora esistente) grazie al ruolo di archiatra, medico del Concilio di Trento e quindi del principe Vescovo Bernardo Clesio.
Il genere di piante Matthiola è stato così chiamato dal botanico Robert Brown in onore del Mattioli.[1]
Mattioli è l'abbreviazione standard utilizzata per le piante descritte da Pietro Andrea Mattioli.
Consulta l'elenco delle piante assegnate a questo autore dall'IPNI.
Opere
Trifolium acetosum (Oxalis) tratto dai Commentarii
Commentarii in sex libros Pedacii Dioscoridis Anazarbei de medica materia, 1565
1533, Morbi Gallici Novum ac Utilissimum Opusculum
1535, Liber de Morbo Gallico, dedicato a Bernardo Clesio
1536, De Morbi Gallici Curandi Ratione
1539, Il Magno Palazzo del Cardinale di Trento
1544, Di Pedacio Dioscoride Anazarbeo Libri cinque Della historia, et materia medicinale tradotti in lingua volgare italiana da M. Pietro Andrea Matthiolo Sanese Medico, con amplissimi discorsi, et comenti, et dottissime annotationi, et censure del medesimo interprete, detti Discorsi
1548, Traduzione in italiano della Geografia di Tolomeo
1554, Petri Andreae Matthioli Medici Senensis Commentarii, in Libros sex Pedacii Dioscoridis Anazarbei, de Materia Medica, Adjectis quàm plurimis plantarum & animalium imaginibus, eodem authore, detti Commentarii
1558, Apologia Adversus Amatum Lusitanum
1561, Epistolarum Medicinalium Libri Quinque
(LA) Commentarii in sex libros Pedacii Dioscoridis Anazarbei de medica materia, Venezia, Vincenzo Valgrisi, 1565.
1569, Opusculum de Simplicium Medicamentorum Facultatibus
1571, Compendium de Plantis Omnibus una cum Earum Iconibus
(LA) De plantis, Venezia, Vincenzo Valgrisi, 1571.
(LA) De plantis, Frankfurt am Main, Johann Feyerabend, 1586.
Dioscoride Pedanio
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Cronologia
Strumenti
Miniatura medievale, tratta dal Dioscoride viennese
Dioscoride Pedanio (in greco antico: Πεδάνιος Διοσκουρίδης?, Pedánios Dioskourídēs; Anazarbo, 40 circa – 90 circa) è stato un botanico e medico greco antico vissuto nella Roma imperiale durante l'impero di Nerone.
Viene citato da Dante nel quarto canto dell'Inferno, nel limbo, con l'epiteto di «buono accoglitor del quale», cioè della qualità delle erbe.[1]
Opere
Lo stesso argomento in dettaglio: De materia medica.
Pagine con cumino e aneto della versione araba del 1334 del De materia medica, conservata al British Museum di Londra.
Dioscoride di Anazarbo è noto principalmente come autore del trattato Sulla materia medica. Si tratta di un erbario scritto originariamente in lingua greca, che ebbe una certa influenza nella medicina medievale. Rimase in uso, sotto forma spuria di traduzioni e commenti, fino circa al XVII secolo, quando venne superato dalla nascita della medicina moderna.
Dioscoride ritratto nel De natura medica in una versione araba del XIII secolo
Dioscoride descrive anche un macchinario rudimentale per la distillazione, dotato di un serbatoio con una sorta di testa superiore, da cui i vapori entrano in una struttura dove vengono raffreddati e poi subiscono condensazione. Questi elementi solitamente mancheranno negli apparati di distillazione medievali.
Oltre che in area greca e romana, l'opera fu conosciuta anche dagli arabi e in Asia. Ci sono pervenuti infatti svariati manoscritti di traduzioni arabe e indiane dell'opera.
Un gran numero di manoscritti illustrati testimoniano la diffusione dell'opera. Alcuni di essi risalgono circa al periodo che va dal V secolo al VII secolo dopo Cristo; il più noto tra essi è il Codex Aniciae Julianae. La principale traduzione italiana di Dioscoride è in occasione della pubblicazione della cinquecentina: I discorsi... nelli sei libri di Pedacio Dioscoride... della materia medicinale, di Valgrisi del 1568, di Mattioli. L'edizione stampata del Mattioli conteneva un commento e delle illustrazioni di buona qualità che rendevano più facile il riconoscimento della pianta.
Lucia Tongiorgi Tomasi
"Io hebbi già fanno alquanti mesi insieme co' una lettera di Vostra Signoria una pianta miniata di sua mano la più bella che mai io habbi veduto in tutto il tempo di mia vita or me do a credere che Vostra Signoria in far piante co' il pennello non habbi pari al mondo... le dico solo che la pianta mandatami mi sono fatta carissima et la tengo governata come le gioie, et se io possa vedere il suo libro ove penso habbi di così fatte qualche centinaio io me lo reputerei a grandissimo favor del Cielo. Per che non so veramente che cosa potessi vedere con più sodisfattione del cuore, et dell'animo mio, et chi sa che forse un giorno Roma non mi rivegga: se ben son
vecchio."
È questo un brano di una missiva inviata "Al molto Magnifico... Signor Gherardo Cibo" il 19 novembre 1565 incollata sul piatto anteriore di un manoscritto illustrato (Add. 22333) conservato presso la British Library. Il suo omologo, il Dioscoride di Cibo e Mattioli (Add. 22332), si impone tra i più rilevanti manoscritti di botanica conservati presso la biblioteca di Londra. Autore della missiva era Pietro Andrea Mattioli, naturalista al servizio della corte asburgica di Praga, da tempo impegnato nella ricerca di immagini di piante da inserire nel commento all'opera del medico greco Dioscoride - i Commentarii o Discorsi -, una pietra miliare nella storia della botanica europea.
ARTE E BOTANICA
L'artista cui Mattioli si rivolgeva con apprezzamenti tanto lusinghieri era Gherardo Cibo, ammirato anche da altri insigni uomini di scienza, tra i quali il romano Andrea Bacci e il bolognese Ulisse Aldrovandi. Ciò nonostante, la figura di Gherardo Cibo è sparita dal palcoscenico della storia (e anche da quello artistico e scientifico), per avere scelto di vivere in un volontario isolamento, lontano dai circuiti elitari ed editoriali del suo tempo. Soltanto agli inizi del secolo scorso un colto bibliotecario della Biblioteca Angelica di Roma - Enrico Celani - gli attribuì cinque "polverosi volumi, mal ridotti, rovinati nelle legature" di un erbario di 1800 esemplari essiccati e, sulla base di un diario oggi perduto, rese noti alcuni episodi della vita di Gherardo.
Ma chi era il nostro personaggio? Pronipote del papa Innocenzo VIII (Giovanbattista Cibo), nasce a Roma nel 1512, dove trascorse gran parte della prima giovinezza, forse destinato alla carriera ecclesiastica e dove, da adolescente, lo colse la tragedia del Sacco dei Lanzichenecchi, costringendolo a rifugiarsi nelle Marche, regione di origine della madre, imparentata coi Duchi di Urbino. Dimorando successivamente per qualche tempo a Bologna, sembra abbia seguito le lezioni universitarie del celebre botanico Luca Ghini, dal quale trasse l'interesse per il mondo vegetale e l'abilità nell'allestimento degli erbari essiccati. Gherardo ebbe poi occasione di accompagnare il padre Aranino in due importanti ambascerie papali: la prima li portò a Ratisbona dove incontrarono Carlo V d'Asburgo; la seconda a Parigi presso il re Francesco I, dove incontrarono nuovamente Carlo V, accompagnandolo poi nel viaggio di ritorno nei Paesi Bassi. Nel corso di questi spostamenti non tralasciò di studiare numerose piante, venendo forse anche a conoscenza della produzione artistica fiamminga, che avrà più tardi una marcata influenza sulla sua opera. [...]
