Ferruccio Ferroni - Immagini inventate - 1999

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Ferruccio Ferroni, Immagini inventate, 1° edizione, 1999, italiano, copertina rigida, 102 pagine.

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Descrizione del venditore

Ferruccio Ferroni, Immagini inventate. Presentazione di Luigi Dania e Mario Giacomelli. Circolo di Confusione, 1999. Copertina rigida, sovraccoperta, introduzione di pagine 28 non numerate + 102 fotografie in bianco e nero. In ottimo stato - minime tracce d'uso marginali. La principale monografia, che fa da catalogo generale, del fotografo di Senigallia.

Ferruccio Ferroni (Mercatello sul Metauro, 27 luglio 1920 – Senigallia, 5 settembre 2007) è stato un fotografo italiano.

Biografia
«Le sue opere sono frammenti poetici, immagini formali squisitamente composte che contengono l'essenzialità, l'essenza di una energia che porta con sé l'anima delle cose, l'espressività lirica, la partecipazione emotiva nelle sue leggi più arcane. Il tempo, lo spazio, la luce, la materia abitano le sue immagini vivificate nel passaggio della forma.»
(Mario Giacomelli)

Nato a Mercatello sul Metauro, Ferruccio Ferroni è quasi sempre vissuto a Senigallia. Nel dopoguerra, dopo aver scontato con due anni di sanatorio il lungo periodo di prigionia in Germania, si avvicina alla fotografia grazie ai suggerimenti di Giuseppe Cavalli, avvocato di vasta cultura che tentava di imprimere un nuovo impulso al mondo fotografico e che nel 1947 aveva firmato come segretario e ispiratore del circolo milanese “La Bussola” un “Manifesto” teorico pubblicato nel numero di maggio della rivista “Ferrania” che si richiamava agli assunti del “Breviario di estetica” di Benedetto Croce. Ferroni, invece, era iscritto al circolo veneziano “La Gondola” che annoverava, accanto al segretario Paolo Monti, autori del calibro di Ferruccio Leiss, Toni Del Tin, Gino Bolognini, poi integrati da due giovani di valore come Gianni Berengo Gardin e Fulvio Roiter. Quando Cavalli fonda a Senigallia nel 1954 il circolo Misa, Ferroni si iscrive subito e si trova accanto, fra gli altri, Piergiorgio Branzi, Alfredo Camisa, Riccardo Gambelli e, ovviamente, Mario Giacomelli. Parallela alla professione di avvocato, che eserciterà dal 1953 al 1992, Ferruccio Ferroni sviluppa un'attività fotografica che, pur svolgendosi in ambito amatoriale, si caratterizza per un rigore e un equilibrio propri del professionismo.

L'attenzione per la stampa, la precisione con cui organizzava l'archivio, la ricerca dei migliori materiali e la grande conoscenza di macchine e obiettivi hanno da sempre caratterizzato il lavoro del fotografo marchigiano, anche se il vero elemento propulsivo è stata la sua profonda passione per la ricerca espressiva. Da subito ottiene importanti risultati come, nel 1950, il prestigioso premio al Grand Concours International de Photographie indetto dalla rivista svizzera “Camera” e partecipa a mostre significative fra cui si possono ricordare l'Esposizione Internazionale Fotografica (Milano, 1952), la Mostra della fotografia italiana (Firenze, 1953) o la “Subjektive Fotografie 2” (Saarbrucken 1954/1955).

C'è un allontanamento nella sua attività fotografica destinata ai circoli fotografici italiani ed internazionali, perché dal 1957 al 1984 si dedica completamente al lavoro e alla famiglia, ma continuerà a fotografare con la sua Hasselblad 6x6 e diapositive a colori, in particolare nei viaggi di famiglia, dove si nota in fase d ripresa lo stesso intento creativo e ricercato che lo caratterizzava negl'anni cinquanta; la sua fotografia a colori è stata per la prima volta indagata da Marcello Sparaventi ed Alberto Masini nel volume "Nel silenzio. Ferroni a colori. Le fotografie a colori di Ferruccio Ferroni dal 1955 al 2000", edito nel 2014 da Omnia Comunicazione in collaborazione con il Fotoclub di Potenza Picena.

Nel 1985 riprenderà la sua attività in camera oscura e la fotografia in bianco e nero, dimostrando che negl'anni il suo stile non si è affatto appannato. Le nuove ricerche lo portano ad esporre in numerose mostre personali e collettive in Italia e all'estero, a ricevere riconoscimenti dalla FIAF (Maestro della Fotografia nel 1996 e Autore dell'anno nel 2006) a pubblicare alcuni volumi monografici fra cui “Immagini inventate” che vince nel 1999 a Padova il premio come miglior libro fotografico dell'anno. Nel 2007 a Fano presso la Saletta Nolfi espone per l'ultima volta, partecipando con la moglie Lidia all'inaugurazione della mostra "Un modo sublime" a cura di Marcello Sparaventi, con il catalogo edito da Omnia Comunicazione, che raccoglie le sue schede di stampa originali dal 1949 al 2005.

Pur non valutato come avrebbe meritato dal mondo del collezionismo sue immagini sono conservate in alcune collezioni pubbliche (la collezione permanente della “Subjektive Fotografie”, la Biblioteque National di Parigi, il Museo Alinari di Firenze, il Museo d'arte moderna di Senigallia) e private.

Nel libro edito nel 2016 "Italian Humanist Photography from Fascism to the Cold War" scritto da Martina Caruso ed edito da Bloomsbury Academic a Londra, viene scelta per la copertina del libro inglese la fotografia “Ballerini” del 1954 di Ferruccio Ferroni.

Bibliografia
Fabio Ciceroni e Valerio Volpini (a cura di), Le Marche tra parole e immagini. Autori marchigiani del '900, Milano, Federico Motta Editore / Banca delle Marche, 1996.
Voci correlate
Museo d'arte moderna e dell'Informazione di Senigallia
Associazione culturale Centrale Fotografia di Fano.
Mario Giacomelli (Senigallia, 1º agosto 1925 – Senigallia, 25 novembre 2000) è stato un tipografo, fotografo e pittore italiano.

Biografia
Nasce nel 1925 da Alfredo e da Libera Guidini, una famiglia di umili origini contadine ed ebbe due sorelle. Le sue origini resteranno un aspetto che terrà custodito nell'animo come marchio di appartenenza e che si ripercuoterà nella sua produzione fotografica e nel suo guardare al mondo e alla natura nel rapporto con l'uomo. Nel 1935 perderà il padre, la cui ferita sarà molto profonda.[1]

Il periodo storico e le difficili vicende familiari (orfano di padre a soli 9 anni) costrinsero Mario a non continuare gli studi e aiutare la famiglia come garzone presso la Tipografia Giunchedi (aveva soli tredici anni) mentre la madre faceva la lavandaia all'ospizio di anziani della città. Dopo la guerra ritorna nella tipografia, dopo aver partecipato ai lavori di ricostruzione dai bombardamenti, come operaio tipografo. Nel 1950 decide di avviare in proprio l’attività, a permettergli il gran passo, prestandogli i suoi risparmi, sarà un’anziana dell’ospizio in cui la madre lavorava: nasce così la “Tipografia Marchigiana”, sotto i Portici Ercolani, in seguito trasferita in Via Mastai 5, negli anni divenuta punto di riferimento e luogo d'incontro con il fotografo, lui che, era risaputo, non amava spostarsi troppo dalla sua cittadina marittima.

Nel 1953, Giacomelli acquista una Bencini Comet S (CMF) modello del 1950, con ottica rientrante acromatica 1:11, pellicola 127, otturazione con tempi 1/50+B e sincro flash. Era Natale e va in spiaggia, scatta la sua prima foto L’approdo, la celebre fotografia della scarpa trasportata dalle onde sulla battigia, con la quale Giacomelli capisce di volersi esprimere d'ora in avanti con il mezzo fotografico. Inizia a fotografare parenti, colleghi e gente della sua cerchia amicale. In quegli anni si appoggia per la stampa allo studio fotografico di Lanfranco Torcoletti di via Mastai, il quale gli presentò Giuseppe Cavalli, maturo fotografo e grande teorico della fotografia. Il contatto frequente e intenso con Cavalli, un'amicizia reverenziale di tipo maestro/discepolo, fu fondamentale per la formazione culturale di Giacomelli.


Mario Giacomelli, Un uomo una donna un amore, 1960
Cavalli da anni si adoperava nel creare una mappatura di cosa fosse la Fotografia, cercando fermamente un'alternativa alla fotografia Neorealismo, cercando giovani talenti per una nuova visione della fotografia italiana del dopoguerra, per una fotografia "artistica", come si diceva all'epoca, motivi per cui era nata nel 1947 il gruppo di fotografia amatoriale La Bussola (Milano) con tanto di manifesto programmatico (fondatori: Giuseppe Cavalli, Finazzi, Vender, Leiss, Luigi Veronesi) e motivi per cui nel dicembre del 1953 si costituisce il gruppo Misa, registrato il 1 gennaio 1954 alla FIAF sotto il nome di "Associazione Fotografica Misa", per rinnovare la visione della fotografia dall’interno del mondo fotoamatoriale (anche su consiglio di Paolo Monti).

Sotto la guida di Ferruccio Ferroni, primo "allievo" di Cavalli, sempre con la supervisione del Maestro, Giacomelli si addentra nella tecnica fotografica. Partecipa a numerosi concorsi fotografici italiani e internazionali (fino alla fine degli anni '70, quindi anche dopo la notorietà), in cui si distingue per originalità e spessore di linguaggio. Nel 1955 vince al Concorso Nazionale di Castelfranco Veneto, in cui fu acclamato dalla critica. Paolo Monti, della giuria, scrisse: “Ad un tratto fra le migliaia di copie che ci franavano addosso, apparvero le fotografie di Giacomelli. Apparizione è la parola più propria alla nostra gioia e emozione, perché di colpo la presenza di quelle immagini ci convinse che un nuovo fotografo era nato”. Sono di questo periodo le serie dallo stile del reportage, ma senza mai Giacomelli essere un verista ("Nessuna immagine può essere "la realtà", perché la realtà ti capita una volta sola davanti agli occhi"[2] come Lourdes (1957), Scanno (1957/59), Puglia (1958, dove tornerà nel 1982),[3] Zingari (1958),[4] Loreto (1959, dove ritorna nel 1995), Un uomo, una donna, un amore (1960/61), Mattatoio (1960), Pretini (1961/63), La buona terra (1964/66), e le preziosissime fotografie scattate all'ospizio di Senigallia dal titolo Ospizio (1954/56), Vita d'ospizio (1956/57), Verrà la morte e avrà i tuoi occhi (1966/68).
Iniziano le prime pubblicazioni sulle riviste specializzate di Fotografia. Continuando con la sua ricerca, il fotografo inizia a chiedere ai contadini, pagandoli, di creare con i loro trattori precisi segni sulla terra, agendo direttamente sul paesaggio da fotografare per poi accentuare tali segni nella stampa. Ben presto Giacomelli sentirà stretti i severi precetti stilistici di Cavalli: sente che i toni di grigio sono inappropriati a rappresentare quell’impeto e quel tragico che ritrovava invece nei suoi forti − e all’epoca sconvolgenti − contrasti di bianco e nero, che ritrovava invece nell'affascinante antagonista di Cavalli, il fondatore del gruppo fotografico La Gondola (Venezia), e amico Paolo Monti, e nella Subjektive Fotografie a cui Giacomelli era vicino tanto che fu inserito nel 1960 nella mostra “Subjektive Photographie 3” (Varese), ordinata da Otto Steinert. D'altra parte il gruppo Misa si sciolse presto (nel 1958) proprio a causa di divergenza di vedute.

Altro contatto importante per lo sviluppo della creatività di Giacomelli fu senz'altro Luigi Crocenzi. Tramite Crocenzi, nel '61 Elio Vittorini chiede a Giacomelli l'immagine Gente del sud (dalla serie Puglia) per la copertina dell'edizione inglese di Conversazione in Sicilia. Nel '63 Piero Racanicchi, che insieme a Turroni è stato tra i primi critici sostenitori dell'opera di Giacomelli, segnala il fotografo a John Szarkowski, direttore del dipartimento di Fotografia del MOMA di New York che sceglie di esporre una sua fotografia alla mostra The Photographer's Eye: la ormai celebre e iconica foto del bambino di Scanno.[5]

Nel '64 Szarkowski acquisirà poi alcune immagini della serie Scanno[1] e alcune immagini della serie "Io non ho mani che mi accarezzino il volto",[5] Quest'ultimo lavoro ebbe come primo titolo "I seminaristi", ma le stesse fotografie possono recare anche il titolo "Seminario" o "Pretini". Nello stesso anno partecipa alla Biennale di Venezia con la serie dell'Ospizio, Verrà la morte e avrà i tuoi occhi. Nel 1965, frequentando una famiglia di contadini, realizza una delle serie più conosciute, "La buona terra", ritrovando il ritmo del suo essere e scoprendo il lato spirituale di chi, lavorando la terra, è rimasto vicino alle proprie radici, rispettando l'origine e il senso dell'Umanità.

Sotto l'influsso di Crocenzi, nel '67 Giacomelli pensa alla realizzazione di una serie fotografica incentrata sul racconto, interpretando Caroline Branson dell'Antologia di Spoon River di Edgar Lee Masters, con canovaccio di Luigi Crocenzi. Negli anni '60 conosce personalmente Alberto Burri, in linea con la vicinanza all'informale e all'astrattismo. Nel '68 inizia una serie fotografica a colori, che terminerà solo alla fine degli anni '80 "Il cantiere del paesaggio".[5]

Nel '78 partecipa alla Biennale di Venezia con fotografie di Paesaggi. Nel 1980 Arturo Carlo Quintavalle scrive un libro analitico sull'opera del fotografo, acquisendo una buona quantità di sue opere per il centro CSAC di Parma. Nel 1984 conosce il poeta Francesco Permunian con il quale instaura una collaborazione che dà alla luce le serie Il teatro della neve (1984/86) e Ho la testa piena mamma (1985/87).

Tra il 1984 e il 1985, dopo aver letto Il Canto dei Nuovi Migranti del poeta calabrese Franco Costabile, realizza una serie di foto in Calabria, ispirate dallo spopolamento dei paesi interni e dall'emigrazione calabrese. Le foto sono state scattate nei paesi di Tiriolo, San Giovanni in Fiore, Cutro, Santa Severina, Badolato, Seminara, Pentedattilo, Bova, Caraffa di Catanzaro, Amaroni; Cropani, Zagarise, Magisano, Vincolise, Cavallerizzo di Cerzeto, Sant’Andrea Apostolo allo Jonio, Cessaniti, San Marco, San Cono, Nao, Jonadi e Pernocari.[6] Riguardo a queste foto, Giacomelli dichiarò :

"lo volevo, come Costabile, gridare. lo non ho fatto nessun paesaggio. Perché? Non è che l'ho fatto apposta, non ero invogliato a farle e non le ho fatte. E adesso però penso, riflettendo, ragionando su quello che mi dicono: la terra è bella ma non è la loro. Ecco perché non ero attratto a fare la terra. lo cercavo Costabile per dire: cercavo il calabrese vero. Ce n'è quattro che stan bene, io cercavo gli altri che non stanno bene. Io cercavo di andare dentro il mondo di Costabile." [7]

Nel 1983/87 crea Il mare dei miei racconti fotografie aeree scattate alla spiaggia di Senigallia. Negli anni '70/90 Giacomelli fotografa la costa adriatica nei pressi di Senigallia, creando la serie Le mie Marche e "Il Mare". Nel 1983 nasce da una sua poesia "Nulla" una serie sui gabbiani, ma già nel 1982, usò una sua poesia per una serie a colori "La realtà mi investe". Durante gli anni '90 lavorò instancabilmente ad una corposa serie che ebbe origine dall'abbandono e conseguente abbattimento di una azienda del suo amico Otello. Nel 1997 realizza per la nota torrefazione Illy il soggetto per l'annuale servizio di tazzine artistiche col nome di Stati d'animo,[8] Illy Collection.

Degli anni novanta sono le serie Vita del pittore Bastari (1991/92), "Io sono nessuno" da una poesia di Emily Dickinson, Poesie in cerca d'autore, Bando (1997/99), 31 Dicembre (1997).[9] Verso la fine del mese di Agosto conclude la serie "Ritorno" nata dalla lettura di una poesia di Giorgio Caproni. Mario Giacomelli muore il 25 novembre del 2000 a Senigallia, dopo un anno di malattia, mentre lavorava alle serie Questo ricordo lo vorrei raccontare (2000), "Ricordi di un ragazzo del '25" e La domenica Prima (2000).

A partire dall'anno 2001 il Circolo Fotografico Sannita di Morcone in provincia di Benevento istituisce un premio fotografico intitolato alla memoria di Giacomelli.[10][11]

Ferruccio Ferroni, Immagini inventate. Presentazione di Luigi Dania e Mario Giacomelli. Circolo di Confusione, 1999. Copertina rigida, sovraccoperta, introduzione di pagine 28 non numerate + 102 fotografie in bianco e nero. In ottimo stato - minime tracce d'uso marginali. La principale monografia, che fa da catalogo generale, del fotografo di Senigallia.

Ferruccio Ferroni (Mercatello sul Metauro, 27 luglio 1920 – Senigallia, 5 settembre 2007) è stato un fotografo italiano.

Biografia
«Le sue opere sono frammenti poetici, immagini formali squisitamente composte che contengono l'essenzialità, l'essenza di una energia che porta con sé l'anima delle cose, l'espressività lirica, la partecipazione emotiva nelle sue leggi più arcane. Il tempo, lo spazio, la luce, la materia abitano le sue immagini vivificate nel passaggio della forma.»
(Mario Giacomelli)

Nato a Mercatello sul Metauro, Ferruccio Ferroni è quasi sempre vissuto a Senigallia. Nel dopoguerra, dopo aver scontato con due anni di sanatorio il lungo periodo di prigionia in Germania, si avvicina alla fotografia grazie ai suggerimenti di Giuseppe Cavalli, avvocato di vasta cultura che tentava di imprimere un nuovo impulso al mondo fotografico e che nel 1947 aveva firmato come segretario e ispiratore del circolo milanese “La Bussola” un “Manifesto” teorico pubblicato nel numero di maggio della rivista “Ferrania” che si richiamava agli assunti del “Breviario di estetica” di Benedetto Croce. Ferroni, invece, era iscritto al circolo veneziano “La Gondola” che annoverava, accanto al segretario Paolo Monti, autori del calibro di Ferruccio Leiss, Toni Del Tin, Gino Bolognini, poi integrati da due giovani di valore come Gianni Berengo Gardin e Fulvio Roiter. Quando Cavalli fonda a Senigallia nel 1954 il circolo Misa, Ferroni si iscrive subito e si trova accanto, fra gli altri, Piergiorgio Branzi, Alfredo Camisa, Riccardo Gambelli e, ovviamente, Mario Giacomelli. Parallela alla professione di avvocato, che eserciterà dal 1953 al 1992, Ferruccio Ferroni sviluppa un'attività fotografica che, pur svolgendosi in ambito amatoriale, si caratterizza per un rigore e un equilibrio propri del professionismo.

L'attenzione per la stampa, la precisione con cui organizzava l'archivio, la ricerca dei migliori materiali e la grande conoscenza di macchine e obiettivi hanno da sempre caratterizzato il lavoro del fotografo marchigiano, anche se il vero elemento propulsivo è stata la sua profonda passione per la ricerca espressiva. Da subito ottiene importanti risultati come, nel 1950, il prestigioso premio al Grand Concours International de Photographie indetto dalla rivista svizzera “Camera” e partecipa a mostre significative fra cui si possono ricordare l'Esposizione Internazionale Fotografica (Milano, 1952), la Mostra della fotografia italiana (Firenze, 1953) o la “Subjektive Fotografie 2” (Saarbrucken 1954/1955).

C'è un allontanamento nella sua attività fotografica destinata ai circoli fotografici italiani ed internazionali, perché dal 1957 al 1984 si dedica completamente al lavoro e alla famiglia, ma continuerà a fotografare con la sua Hasselblad 6x6 e diapositive a colori, in particolare nei viaggi di famiglia, dove si nota in fase d ripresa lo stesso intento creativo e ricercato che lo caratterizzava negl'anni cinquanta; la sua fotografia a colori è stata per la prima volta indagata da Marcello Sparaventi ed Alberto Masini nel volume "Nel silenzio. Ferroni a colori. Le fotografie a colori di Ferruccio Ferroni dal 1955 al 2000", edito nel 2014 da Omnia Comunicazione in collaborazione con il Fotoclub di Potenza Picena.

Nel 1985 riprenderà la sua attività in camera oscura e la fotografia in bianco e nero, dimostrando che negl'anni il suo stile non si è affatto appannato. Le nuove ricerche lo portano ad esporre in numerose mostre personali e collettive in Italia e all'estero, a ricevere riconoscimenti dalla FIAF (Maestro della Fotografia nel 1996 e Autore dell'anno nel 2006) a pubblicare alcuni volumi monografici fra cui “Immagini inventate” che vince nel 1999 a Padova il premio come miglior libro fotografico dell'anno. Nel 2007 a Fano presso la Saletta Nolfi espone per l'ultima volta, partecipando con la moglie Lidia all'inaugurazione della mostra "Un modo sublime" a cura di Marcello Sparaventi, con il catalogo edito da Omnia Comunicazione, che raccoglie le sue schede di stampa originali dal 1949 al 2005.

Pur non valutato come avrebbe meritato dal mondo del collezionismo sue immagini sono conservate in alcune collezioni pubbliche (la collezione permanente della “Subjektive Fotografie”, la Biblioteque National di Parigi, il Museo Alinari di Firenze, il Museo d'arte moderna di Senigallia) e private.

Nel libro edito nel 2016 "Italian Humanist Photography from Fascism to the Cold War" scritto da Martina Caruso ed edito da Bloomsbury Academic a Londra, viene scelta per la copertina del libro inglese la fotografia “Ballerini” del 1954 di Ferruccio Ferroni.

Bibliografia
Fabio Ciceroni e Valerio Volpini (a cura di), Le Marche tra parole e immagini. Autori marchigiani del '900, Milano, Federico Motta Editore / Banca delle Marche, 1996.
Voci correlate
Museo d'arte moderna e dell'Informazione di Senigallia
Associazione culturale Centrale Fotografia di Fano.
Mario Giacomelli (Senigallia, 1º agosto 1925 – Senigallia, 25 novembre 2000) è stato un tipografo, fotografo e pittore italiano.

Biografia
Nasce nel 1925 da Alfredo e da Libera Guidini, una famiglia di umili origini contadine ed ebbe due sorelle. Le sue origini resteranno un aspetto che terrà custodito nell'animo come marchio di appartenenza e che si ripercuoterà nella sua produzione fotografica e nel suo guardare al mondo e alla natura nel rapporto con l'uomo. Nel 1935 perderà il padre, la cui ferita sarà molto profonda.[1]

Il periodo storico e le difficili vicende familiari (orfano di padre a soli 9 anni) costrinsero Mario a non continuare gli studi e aiutare la famiglia come garzone presso la Tipografia Giunchedi (aveva soli tredici anni) mentre la madre faceva la lavandaia all'ospizio di anziani della città. Dopo la guerra ritorna nella tipografia, dopo aver partecipato ai lavori di ricostruzione dai bombardamenti, come operaio tipografo. Nel 1950 decide di avviare in proprio l’attività, a permettergli il gran passo, prestandogli i suoi risparmi, sarà un’anziana dell’ospizio in cui la madre lavorava: nasce così la “Tipografia Marchigiana”, sotto i Portici Ercolani, in seguito trasferita in Via Mastai 5, negli anni divenuta punto di riferimento e luogo d'incontro con il fotografo, lui che, era risaputo, non amava spostarsi troppo dalla sua cittadina marittima.

Nel 1953, Giacomelli acquista una Bencini Comet S (CMF) modello del 1950, con ottica rientrante acromatica 1:11, pellicola 127, otturazione con tempi 1/50+B e sincro flash. Era Natale e va in spiaggia, scatta la sua prima foto L’approdo, la celebre fotografia della scarpa trasportata dalle onde sulla battigia, con la quale Giacomelli capisce di volersi esprimere d'ora in avanti con il mezzo fotografico. Inizia a fotografare parenti, colleghi e gente della sua cerchia amicale. In quegli anni si appoggia per la stampa allo studio fotografico di Lanfranco Torcoletti di via Mastai, il quale gli presentò Giuseppe Cavalli, maturo fotografo e grande teorico della fotografia. Il contatto frequente e intenso con Cavalli, un'amicizia reverenziale di tipo maestro/discepolo, fu fondamentale per la formazione culturale di Giacomelli.


Mario Giacomelli, Un uomo una donna un amore, 1960
Cavalli da anni si adoperava nel creare una mappatura di cosa fosse la Fotografia, cercando fermamente un'alternativa alla fotografia Neorealismo, cercando giovani talenti per una nuova visione della fotografia italiana del dopoguerra, per una fotografia "artistica", come si diceva all'epoca, motivi per cui era nata nel 1947 il gruppo di fotografia amatoriale La Bussola (Milano) con tanto di manifesto programmatico (fondatori: Giuseppe Cavalli, Finazzi, Vender, Leiss, Luigi Veronesi) e motivi per cui nel dicembre del 1953 si costituisce il gruppo Misa, registrato il 1 gennaio 1954 alla FIAF sotto il nome di "Associazione Fotografica Misa", per rinnovare la visione della fotografia dall’interno del mondo fotoamatoriale (anche su consiglio di Paolo Monti).

Sotto la guida di Ferruccio Ferroni, primo "allievo" di Cavalli, sempre con la supervisione del Maestro, Giacomelli si addentra nella tecnica fotografica. Partecipa a numerosi concorsi fotografici italiani e internazionali (fino alla fine degli anni '70, quindi anche dopo la notorietà), in cui si distingue per originalità e spessore di linguaggio. Nel 1955 vince al Concorso Nazionale di Castelfranco Veneto, in cui fu acclamato dalla critica. Paolo Monti, della giuria, scrisse: “Ad un tratto fra le migliaia di copie che ci franavano addosso, apparvero le fotografie di Giacomelli. Apparizione è la parola più propria alla nostra gioia e emozione, perché di colpo la presenza di quelle immagini ci convinse che un nuovo fotografo era nato”. Sono di questo periodo le serie dallo stile del reportage, ma senza mai Giacomelli essere un verista ("Nessuna immagine può essere "la realtà", perché la realtà ti capita una volta sola davanti agli occhi"[2] come Lourdes (1957), Scanno (1957/59), Puglia (1958, dove tornerà nel 1982),[3] Zingari (1958),[4] Loreto (1959, dove ritorna nel 1995), Un uomo, una donna, un amore (1960/61), Mattatoio (1960), Pretini (1961/63), La buona terra (1964/66), e le preziosissime fotografie scattate all'ospizio di Senigallia dal titolo Ospizio (1954/56), Vita d'ospizio (1956/57), Verrà la morte e avrà i tuoi occhi (1966/68).
Iniziano le prime pubblicazioni sulle riviste specializzate di Fotografia. Continuando con la sua ricerca, il fotografo inizia a chiedere ai contadini, pagandoli, di creare con i loro trattori precisi segni sulla terra, agendo direttamente sul paesaggio da fotografare per poi accentuare tali segni nella stampa. Ben presto Giacomelli sentirà stretti i severi precetti stilistici di Cavalli: sente che i toni di grigio sono inappropriati a rappresentare quell’impeto e quel tragico che ritrovava invece nei suoi forti − e all’epoca sconvolgenti − contrasti di bianco e nero, che ritrovava invece nell'affascinante antagonista di Cavalli, il fondatore del gruppo fotografico La Gondola (Venezia), e amico Paolo Monti, e nella Subjektive Fotografie a cui Giacomelli era vicino tanto che fu inserito nel 1960 nella mostra “Subjektive Photographie 3” (Varese), ordinata da Otto Steinert. D'altra parte il gruppo Misa si sciolse presto (nel 1958) proprio a causa di divergenza di vedute.

Altro contatto importante per lo sviluppo della creatività di Giacomelli fu senz'altro Luigi Crocenzi. Tramite Crocenzi, nel '61 Elio Vittorini chiede a Giacomelli l'immagine Gente del sud (dalla serie Puglia) per la copertina dell'edizione inglese di Conversazione in Sicilia. Nel '63 Piero Racanicchi, che insieme a Turroni è stato tra i primi critici sostenitori dell'opera di Giacomelli, segnala il fotografo a John Szarkowski, direttore del dipartimento di Fotografia del MOMA di New York che sceglie di esporre una sua fotografia alla mostra The Photographer's Eye: la ormai celebre e iconica foto del bambino di Scanno.[5]

Nel '64 Szarkowski acquisirà poi alcune immagini della serie Scanno[1] e alcune immagini della serie "Io non ho mani che mi accarezzino il volto",[5] Quest'ultimo lavoro ebbe come primo titolo "I seminaristi", ma le stesse fotografie possono recare anche il titolo "Seminario" o "Pretini". Nello stesso anno partecipa alla Biennale di Venezia con la serie dell'Ospizio, Verrà la morte e avrà i tuoi occhi. Nel 1965, frequentando una famiglia di contadini, realizza una delle serie più conosciute, "La buona terra", ritrovando il ritmo del suo essere e scoprendo il lato spirituale di chi, lavorando la terra, è rimasto vicino alle proprie radici, rispettando l'origine e il senso dell'Umanità.

Sotto l'influsso di Crocenzi, nel '67 Giacomelli pensa alla realizzazione di una serie fotografica incentrata sul racconto, interpretando Caroline Branson dell'Antologia di Spoon River di Edgar Lee Masters, con canovaccio di Luigi Crocenzi. Negli anni '60 conosce personalmente Alberto Burri, in linea con la vicinanza all'informale e all'astrattismo. Nel '68 inizia una serie fotografica a colori, che terminerà solo alla fine degli anni '80 "Il cantiere del paesaggio".[5]

Nel '78 partecipa alla Biennale di Venezia con fotografie di Paesaggi. Nel 1980 Arturo Carlo Quintavalle scrive un libro analitico sull'opera del fotografo, acquisendo una buona quantità di sue opere per il centro CSAC di Parma. Nel 1984 conosce il poeta Francesco Permunian con il quale instaura una collaborazione che dà alla luce le serie Il teatro della neve (1984/86) e Ho la testa piena mamma (1985/87).

Tra il 1984 e il 1985, dopo aver letto Il Canto dei Nuovi Migranti del poeta calabrese Franco Costabile, realizza una serie di foto in Calabria, ispirate dallo spopolamento dei paesi interni e dall'emigrazione calabrese. Le foto sono state scattate nei paesi di Tiriolo, San Giovanni in Fiore, Cutro, Santa Severina, Badolato, Seminara, Pentedattilo, Bova, Caraffa di Catanzaro, Amaroni; Cropani, Zagarise, Magisano, Vincolise, Cavallerizzo di Cerzeto, Sant’Andrea Apostolo allo Jonio, Cessaniti, San Marco, San Cono, Nao, Jonadi e Pernocari.[6] Riguardo a queste foto, Giacomelli dichiarò :

"lo volevo, come Costabile, gridare. lo non ho fatto nessun paesaggio. Perché? Non è che l'ho fatto apposta, non ero invogliato a farle e non le ho fatte. E adesso però penso, riflettendo, ragionando su quello che mi dicono: la terra è bella ma non è la loro. Ecco perché non ero attratto a fare la terra. lo cercavo Costabile per dire: cercavo il calabrese vero. Ce n'è quattro che stan bene, io cercavo gli altri che non stanno bene. Io cercavo di andare dentro il mondo di Costabile." [7]

Nel 1983/87 crea Il mare dei miei racconti fotografie aeree scattate alla spiaggia di Senigallia. Negli anni '70/90 Giacomelli fotografa la costa adriatica nei pressi di Senigallia, creando la serie Le mie Marche e "Il Mare". Nel 1983 nasce da una sua poesia "Nulla" una serie sui gabbiani, ma già nel 1982, usò una sua poesia per una serie a colori "La realtà mi investe". Durante gli anni '90 lavorò instancabilmente ad una corposa serie che ebbe origine dall'abbandono e conseguente abbattimento di una azienda del suo amico Otello. Nel 1997 realizza per la nota torrefazione Illy il soggetto per l'annuale servizio di tazzine artistiche col nome di Stati d'animo,[8] Illy Collection.

Degli anni novanta sono le serie Vita del pittore Bastari (1991/92), "Io sono nessuno" da una poesia di Emily Dickinson, Poesie in cerca d'autore, Bando (1997/99), 31 Dicembre (1997).[9] Verso la fine del mese di Agosto conclude la serie "Ritorno" nata dalla lettura di una poesia di Giorgio Caproni. Mario Giacomelli muore il 25 novembre del 2000 a Senigallia, dopo un anno di malattia, mentre lavorava alle serie Questo ricordo lo vorrei raccontare (2000), "Ricordi di un ragazzo del '25" e La domenica Prima (2000).

A partire dall'anno 2001 il Circolo Fotografico Sannita di Morcone in provincia di Benevento istituisce un premio fotografico intitolato alla memoria di Giacomelli.[10][11]

Dettagli

Numero di Libri
1
Soggetto
Fotografia
Titolo del Libro
Immagini inventate
Autore/ Illustratore
Ferruccio Ferroni
Condizione
Ottime
Anno di pubblicazione dell’oggetto più vecchio
1999
Altezza
32 cm
Edizione
1° edizione
Larghezza
25 cm
Lingua
Italiano
Lingua originale
Legatura
Copertina rigida
Numero di pagine
102
Venduto da
ItaliaVerificato
822
Oggetti venduti
100%
pro

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