Roberto Papini - Le Arti d'oggi. Gio Ponti. - 1930





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Roberto Papini, Le Arti d'oggi. Gio Ponti, 1930, 1ª edizione, italiano, copertina rigida, 34 × 25 cm, 22 pagine + 182 tavole, architettura e design d'interni, progettista Gio Ponti.
Descrizione del venditore
Roberto Papini, Le Arti d'oggi. Architettura e arti decorative in Europa. Milano, Bestetti e Tuminelli, 1930. Prima edizione. Cm 34 x 25, legatura editoriale in tela, pagine 22 + 182 tavole di cui alcune a colori. Arti decorative, architettura, complementi d'arredo, vetri, ceramiche artistiche, tessuti, argenterie, legature artistiche per libri, ecc. Illustrazioni con opere di: Gio Ponti, Le Corbusier, Marcello Piacentini, Edgar Brandt, Joseph Hoffman, Emile - Jacques Ruhlman, Eliel Saarinen, Baccarat, Cartier, Daum, Moser e Royal Copenhagen, Duilio Cambellotti, Pietro Chiesa, Pietro Melandri, Lalique, Lenci, Ferruccio Mengaroni Pesaro, Vetri Venini, ecc. ecc. Apertura al dorso (la legatura è comunque salda), macchie sul retro copertina - tracce del tempo e qualche strappo marginale - una vecchia firma di proprietà.
Giovanni Ponti, detto Gio[1] (Milano, 18 novembre 1891 – Milano, 16 settembre 1979), è stato un architetto e designer italiano fra i più importanti del dopoguerra[1].
Biografia
«Gli italiani sono nati per costruire. Costruire è carattere della loro razza, forma della loro mente, vocazione ed impegno del loro destino, espressione della loro esistenza, segno supremo ed immortale della loro storia.»
(Gio Ponti, Vocazione architettonica degli italiani, 1940)
Figlio di Enrico Ponti e di Giovanna Rigone, Gio Ponti si laureò in architettura presso l'allora Regio Istituto Tecnico Superiore (il futuro Politecnico di Milano) nel 1921, dopo aver sospeso gli studi durante la sua partecipazione alla prima guerra mondiale. Nello stesso anno si sposò con la nobile Giulia Vimercati, di antica famiglia brianzola, da cui ebbe quattro figli (Lisa, Giovanna, Letizia e Giulio)[2].
Anni venti e trenta
Casa Marmont a Milano, 1934
Il palazzo Montecatini a Milano, 1938
Inizialmente, nel 1921, aprì uno studio assieme gli architetti Mino Fiocchi ed Emilio Lancia (1926-1933), per poi passare alla collaborazione con gli ingegneri Antonio Fornaroli ed Eugenio Soncini (1933-1945). Nel 1923 partecipò alla I Biennale delle arti decorative tenutasi all'ISIA di Monza e successivamente fu coinvolto nella organizzazione delle varie Triennali, sia a Monza che a Milano.
Negli anni venti avviò la sua attività di designer all'industria ceramica Richard-Ginori, rielaborando complessivamente la strategia di disegno industriale della società; con le sue ceramiche vinse il "Grand Prix" all'Esposizione internazionale di arti decorative e industriali moderne di Parigi del 1925[3]. In quegli anni, la sua produzione fu improntata più ai temi classici reinterpretati in chiave déco, mostrandosi più vicino al movimento Novecento, esponente del razionalismo[4]. Sempre negli stessi anni iniziò anche la sua attività editoriale: nel 1928 fondò la rivista Domus, testata che diresse fino alla sua morte, eccetto che nel periodo 1941-1948 in cui fu direttore di Stile[4]. Assieme a Casabella, Domus rappresenterà il centro del dibattito culturale dell'architettura e del design italiani della seconda metà del Novecento[5].
Servizio da caffè "Barbara" disegnato da Ponti per Richard Ginori nel 1930
L'attività di Ponti negli anni trenta si estese all'organizzazione della V Triennale di Milano (1933) e alla realizzazione di scene e costumi per il Teatro alla Scala[6]. Partecipò all'Associazione del Disegno Industriale (ADI) e fu tra i sostenitori del premio Compasso d'oro, promosso dai magazzini La Rinascente[7]. Ricevette tra l'altro numerosi premi sia nazionali che internazionali, diventando infine professore di ruolo alla Facoltà di Architettura del Politecnico di Milano nel 1936, cattedra che manterrà sino al 1961[senza fonte]. Nel 1934 l'Accademia d'Italia gli conferì il "premio Mussolini" per le arti[8].
Nel 1937 incaricò Giuseppe Cesetti di eseguire un pavimento in ceramica di vaste dimensioni, esposto alla Mostra Universale di Parigi, in una sala dove erano anche opere di Gino Severini e Massimo Campigli.
Anni quaranta e cinquanta
Nel 1941, durante la seconda guerra mondiale, Ponti fonda la rivista di architettura e design del regime fascista STILE. Nella rivista di chiaro supporto all'asse Roma-Berlino, Ponti non manca di scrivere nei suoi editoriali commenti come "Nel dopoguerra spettano all'Italia compiti grandissimi ...nei rapporti della sua esemplare alleata, la Germania", "i nostri grandi alleati [Germania nazista] ci danno un esempio di applicazione tenace, serissima, organizzata e ordinata" (da Stile, Agosto 1941, pag. 3). Stile durerà pochi anni e chiuderà dopo l'Invasione d'Italia anglo-americana e la sconfitta dell'Asse Italo-tedesco. Nel 1948, Ponti riapre la rivista Domus, dove rimarrà come editore fino alla sua morte.
Nel 1951, si unì allo studio insieme a Fornaroli, l'architetto Alberto Rosselli[9]. Nel 1952 costituisce con l'architetto Alberto Rosselli lo studio Ponti-Fornaroli-Rosselli[10]. Qui iniziò il periodo di più intensa e feconda attività sia nell'architettura che nel design, abbandonando i frequenti riallacci al passato neoclassico e puntando su idee più innovative.
Anni sessanta e settanta
Fra il 1966 ed il 1968 collaborò con l'impresa di produzione Ceramica Franco Pozzi di Gallarate[senza fonte].
Il Centro Studi e Archivio della Comunicazione di Parma conserva un Fondo dedicato a Gio Ponti, consistente in 16.512 schizzi e disegni, 73 plastici e maquettes. L'archivio Ponti[10] è stato donato dagli eredi dell'architetto (donatori Anna Giovanna Ponti, Letizia Ponti, Salvatore Licitra, Matteo Licitra, Giulio Ponti) nel 1982. Questo fondo, il cui materiale progettuale documenta le opere realizzate dal designer milanese dagli anni Venti agli anni Settanta, è pubblico e consultabile.
Gio Ponti morì a Milano nel 1979: riposa al cimitero monumentale di Milano[11]. Il suo nome ha meritato l'iscrizione al famedio del medesimo cimitero[12].
Stile
Gio Ponti ha disegnato moltissimi oggetti nei più svariati campi, dalle scenografie teatrali, alle lampade, alle sedie, agli oggetti da cucina, agli interni di transatlantici[13]. Inizialmente nell'arte delle ceramiche il suo disegno rifletteva la Secessione viennese[senza fonte] e sosteneva che decorazione tradizionale e arte moderna non fossero incompatibili. Il suo riallacciarsi e utilizzare i valori del passato trovò sostenitori nel regime fascista, incline alla salvaguardia della "identità italiana" e al recupero degli ideali della "romanità",[senza fonte] che si espresse poi compiutamente in architettura con il neoclassicismo semplificato del Piacentini.
Macchina da caffè La Pavoni, progettata da Ponti nel 1948
Nel 1950 Ponti cominciò a impegnarsi nella progettazione di "pareti attrezzate", ovvero intere pareti prefabbricate che permettevano di soddisfare diversi bisogni, integrando in un unico sistema apparecchi e attrezzature fino ad allora autonome. Ricordiamo Ponti anche per il progetto della seduta "Superleggera" del 1955 (prod. Cassina)[14], realizzata partendo da un oggetto già esistente e di solito prodotto artigianalmente: la Sedia di Chiavari[15], migliorato in materiali e prestazioni.
Nonostante questo, Ponti realizzerà nella Città universitaria di Roma nel 1934 la Scuola di Matematica[16] (una delle prime opere del Razionalismo italiano) e nel 1936 il primo degli edifici per uffici della Montecatini a Milano. Quest'ultimo, a caratteri fortemente personali, risente nei particolari architettonici, di ricercata eleganza, della vocazione di designer del progettista.
Negli anni cinquanta, lo stile di Ponti si fece più innovativo[17] e, pur rimanendo classicheggiante nel secondo palazzo per uffici della Montecatini (1951), si espresse pienamente nel suo edificio più significativo: il Grattacielo Pirelli in Piazza Duca d'Aosta a Milano (1955-1958)[18]. L'opera fu costruita intorno a una struttura centrale progettata da Nervi (127,1 metri). L'edificio appare come una slanciata e armoniosa lastra di cristallo[19], che taglia lo spazio architettonico del cielo, disegnata su un equilibrato curtain wall e i cui lati lunghi si restringono in quasi due linee verticali. Quest'opera anche con il suo carattere di "eccellenza" appartiene a buon diritto al Movimento Moderno in Italia[20].
Opere
Industrial design
1923-1929 Porcellane per Richard-Ginori
1927 Oggetti in peltro ed argento per Christofle
1930 Grandi pezzi in cristallo per Fontana
1930 Grande tavolo in alluminio presentato alla IV Triennale di Monza
1930 Disegni per stoffe stampate per De Angeli-Frua, Milano
1930 Tessuti per Vittorio Ferrari
1930 Posate ed altri oggetti per Krupp Italiana
1931 Lampade per Fontana, Milano
1931 Tre librerie per le Opera Omnia di D'Annunzio
1931 Mobili per Turri, Varedo (Milano)
1934 Arredamento Brustio, Milano
1935 Arredamento Cellina, Milano
1936 Arredamento Piccoli, Milano
1936 Arredamento Pozzi, Milano
1936 Orologi per Boselli, Milano
1936 Sedia a volute presentata alla VI Triennale di Milano prodotta da Casa e Giardino, poi (1946) Cassina e (1969) Montina
1936 Mobili per Casa e Giardino, Milano
1938 Tessuti per Vittorio Ferrari, Milano
1938 Poltrone per Casa e Giardino
1938 Seduta girevole in acciaio per Kardex
1947 Interni del Treno Settebello
1948 Collabora con Alberto Rosselli e Antonio Fornaroli alla creazione de "La Cornuta", la prima macchina da caffè espresso a caldaia orizzontale prodotta da "La Pavoni S.p.A."
1949 Collabora con officine meccaniche Visa di Voghera e crea la macchina da cucire "Visetta".
1952 Collabora con AVE, creazione di interruttori elettrici
1955 Posate per Arthur Krupp
1957 Sedia Superleggera per Cassina
1963 Scooter Brio per Ducati
1971 Poltrona di poco sedile per Walter Ponti
Roberto Papini Nato a Pistoia il l° febbraio 1883 dall’ing. Carlo e da Clementina dei Marchesi Incontri, R. P. studiò fisica-matematica nella R. Università di Pisa; fu dal 1908 al 1910 allievo della Scuola di perfezionamento in Storia dell’arte diretta da Adolfo Venturi nella R. Università degli studi di Roma conseguendo a pieni voti, al termine dei tre anni, il diploma. Iniziò subito a scrivere su quotidiani a tiratura locale.
Tutta la sua carriera professionale fu costellata di importanti cariche: direttore della Pinacoteca comunale di Prato (1912), della Galleria Nazionale d’arte Moderna in Roma (1933) e della Pinacoteca di Brera (1920), incaricato dal Ministero degli Affari Esteri di soprintendere all’arredamento delle R. Ambasciate, Legazioni e Consolati all’estero (1921-1926), Commissario governativo del R. Museo Artistico-industriale in Roma con incarico della direzione (1928). Ebbe costantemente nei vari anni collaborazioni con giornali e riviste dove pubblicò pezzi di critica sull’arte contemporanea e di urbanistica. Fondatore nel 1921 con Giovannoni, Piacentini, Cecchelli e Grassi della rivista «Architettura e arti decorative», fu membro del comitato di redazione. Le sue maggiori collaborazioni come critico, con articoli sull’architettura e sull’urbanistica, furono con il «Conciliatore» nel 1914, il «Corriere della Sera» dal 1926, e con «Il Mondo» di cui fu redattore fin dalla fondazione (1922); scrisse inoltre su «Rassegna italiana » e su «Dedalo» dal 1922 e quasi continuativamente fin dal 1914 su «Emponium».
Autore di molte pubblicazioni di storia dell’arte, si ricordano il Catalogo delle cose d’arte e di antichità d’Italia: Pisa (2 voll., Roma, Calzone, 1912-1914) e il Catalogo della Galleria Comunale di Prato del 1912 dei quali fu curatore; Le arti a Monza nel MCMXXIII, del 1923, e infine la monografia su Francesco di Giorgio Martini, in tre volumi, del 1946.
Importante fu il suo impegno nell’insegnamento: insegnò Storia dell’arte nel R. Museo Artistico Industriale di Roma dal 1928 al 1931, dal 1929 fu docente di Storia dell’arte medioevale e moderna, tenendo corsi sull’architettura, alla R. Università per stranieri di Perugia, dal 1934 incaricato dell’insegnamento di Storia dell’Arte medioevale e moderna nel R. Istituto Superiore d’Architettura di Firenze per il primo e secondo corso; fu nominato, infine, Professore ordinario di Storia e Stili dell’architettura nel 1941 nella facoltà di Architettura di Firenze e incaricato, nel 1943, del corso di Caratteri stilistici e costruttivi dei monumenti.
Importante fu il suo contributo al dibattito che coinvolse il mondo della cultura e della politica fiorentina all’indomani della fine della guerra quando si posero i problemi della ricostruzione: membro della Commissione per la ricostruzione del centro-storico di Firenze, espresse il suo autorevole parere in più occasioni (v. La sorte di Firenze sta per decidersi, in «La Nuova Città», nn. 4-3, 1946 e Il referendum sulla ricostruzione di Firenze, in «La Nazione del Popolo», 13 nov. 1946). Morì a Modena il 10 novembre 1957.
Roberto Papini, Le Arti d'oggi. Architettura e arti decorative in Europa. Milano, Bestetti e Tuminelli, 1930. Prima edizione. Cm 34 x 25, legatura editoriale in tela, pagine 22 + 182 tavole di cui alcune a colori. Arti decorative, architettura, complementi d'arredo, vetri, ceramiche artistiche, tessuti, argenterie, legature artistiche per libri, ecc. Illustrazioni con opere di: Gio Ponti, Le Corbusier, Marcello Piacentini, Edgar Brandt, Joseph Hoffman, Emile - Jacques Ruhlman, Eliel Saarinen, Baccarat, Cartier, Daum, Moser e Royal Copenhagen, Duilio Cambellotti, Pietro Chiesa, Pietro Melandri, Lalique, Lenci, Ferruccio Mengaroni Pesaro, Vetri Venini, ecc. ecc. Apertura al dorso (la legatura è comunque salda), macchie sul retro copertina - tracce del tempo e qualche strappo marginale - una vecchia firma di proprietà.
Giovanni Ponti, detto Gio[1] (Milano, 18 novembre 1891 – Milano, 16 settembre 1979), è stato un architetto e designer italiano fra i più importanti del dopoguerra[1].
Biografia
«Gli italiani sono nati per costruire. Costruire è carattere della loro razza, forma della loro mente, vocazione ed impegno del loro destino, espressione della loro esistenza, segno supremo ed immortale della loro storia.»
(Gio Ponti, Vocazione architettonica degli italiani, 1940)
Figlio di Enrico Ponti e di Giovanna Rigone, Gio Ponti si laureò in architettura presso l'allora Regio Istituto Tecnico Superiore (il futuro Politecnico di Milano) nel 1921, dopo aver sospeso gli studi durante la sua partecipazione alla prima guerra mondiale. Nello stesso anno si sposò con la nobile Giulia Vimercati, di antica famiglia brianzola, da cui ebbe quattro figli (Lisa, Giovanna, Letizia e Giulio)[2].
Anni venti e trenta
Casa Marmont a Milano, 1934
Il palazzo Montecatini a Milano, 1938
Inizialmente, nel 1921, aprì uno studio assieme gli architetti Mino Fiocchi ed Emilio Lancia (1926-1933), per poi passare alla collaborazione con gli ingegneri Antonio Fornaroli ed Eugenio Soncini (1933-1945). Nel 1923 partecipò alla I Biennale delle arti decorative tenutasi all'ISIA di Monza e successivamente fu coinvolto nella organizzazione delle varie Triennali, sia a Monza che a Milano.
Negli anni venti avviò la sua attività di designer all'industria ceramica Richard-Ginori, rielaborando complessivamente la strategia di disegno industriale della società; con le sue ceramiche vinse il "Grand Prix" all'Esposizione internazionale di arti decorative e industriali moderne di Parigi del 1925[3]. In quegli anni, la sua produzione fu improntata più ai temi classici reinterpretati in chiave déco, mostrandosi più vicino al movimento Novecento, esponente del razionalismo[4]. Sempre negli stessi anni iniziò anche la sua attività editoriale: nel 1928 fondò la rivista Domus, testata che diresse fino alla sua morte, eccetto che nel periodo 1941-1948 in cui fu direttore di Stile[4]. Assieme a Casabella, Domus rappresenterà il centro del dibattito culturale dell'architettura e del design italiani della seconda metà del Novecento[5].
Servizio da caffè "Barbara" disegnato da Ponti per Richard Ginori nel 1930
L'attività di Ponti negli anni trenta si estese all'organizzazione della V Triennale di Milano (1933) e alla realizzazione di scene e costumi per il Teatro alla Scala[6]. Partecipò all'Associazione del Disegno Industriale (ADI) e fu tra i sostenitori del premio Compasso d'oro, promosso dai magazzini La Rinascente[7]. Ricevette tra l'altro numerosi premi sia nazionali che internazionali, diventando infine professore di ruolo alla Facoltà di Architettura del Politecnico di Milano nel 1936, cattedra che manterrà sino al 1961[senza fonte]. Nel 1934 l'Accademia d'Italia gli conferì il "premio Mussolini" per le arti[8].
Nel 1937 incaricò Giuseppe Cesetti di eseguire un pavimento in ceramica di vaste dimensioni, esposto alla Mostra Universale di Parigi, in una sala dove erano anche opere di Gino Severini e Massimo Campigli.
Anni quaranta e cinquanta
Nel 1941, durante la seconda guerra mondiale, Ponti fonda la rivista di architettura e design del regime fascista STILE. Nella rivista di chiaro supporto all'asse Roma-Berlino, Ponti non manca di scrivere nei suoi editoriali commenti come "Nel dopoguerra spettano all'Italia compiti grandissimi ...nei rapporti della sua esemplare alleata, la Germania", "i nostri grandi alleati [Germania nazista] ci danno un esempio di applicazione tenace, serissima, organizzata e ordinata" (da Stile, Agosto 1941, pag. 3). Stile durerà pochi anni e chiuderà dopo l'Invasione d'Italia anglo-americana e la sconfitta dell'Asse Italo-tedesco. Nel 1948, Ponti riapre la rivista Domus, dove rimarrà come editore fino alla sua morte.
Nel 1951, si unì allo studio insieme a Fornaroli, l'architetto Alberto Rosselli[9]. Nel 1952 costituisce con l'architetto Alberto Rosselli lo studio Ponti-Fornaroli-Rosselli[10]. Qui iniziò il periodo di più intensa e feconda attività sia nell'architettura che nel design, abbandonando i frequenti riallacci al passato neoclassico e puntando su idee più innovative.
Anni sessanta e settanta
Fra il 1966 ed il 1968 collaborò con l'impresa di produzione Ceramica Franco Pozzi di Gallarate[senza fonte].
Il Centro Studi e Archivio della Comunicazione di Parma conserva un Fondo dedicato a Gio Ponti, consistente in 16.512 schizzi e disegni, 73 plastici e maquettes. L'archivio Ponti[10] è stato donato dagli eredi dell'architetto (donatori Anna Giovanna Ponti, Letizia Ponti, Salvatore Licitra, Matteo Licitra, Giulio Ponti) nel 1982. Questo fondo, il cui materiale progettuale documenta le opere realizzate dal designer milanese dagli anni Venti agli anni Settanta, è pubblico e consultabile.
Gio Ponti morì a Milano nel 1979: riposa al cimitero monumentale di Milano[11]. Il suo nome ha meritato l'iscrizione al famedio del medesimo cimitero[12].
Stile
Gio Ponti ha disegnato moltissimi oggetti nei più svariati campi, dalle scenografie teatrali, alle lampade, alle sedie, agli oggetti da cucina, agli interni di transatlantici[13]. Inizialmente nell'arte delle ceramiche il suo disegno rifletteva la Secessione viennese[senza fonte] e sosteneva che decorazione tradizionale e arte moderna non fossero incompatibili. Il suo riallacciarsi e utilizzare i valori del passato trovò sostenitori nel regime fascista, incline alla salvaguardia della "identità italiana" e al recupero degli ideali della "romanità",[senza fonte] che si espresse poi compiutamente in architettura con il neoclassicismo semplificato del Piacentini.
Macchina da caffè La Pavoni, progettata da Ponti nel 1948
Nel 1950 Ponti cominciò a impegnarsi nella progettazione di "pareti attrezzate", ovvero intere pareti prefabbricate che permettevano di soddisfare diversi bisogni, integrando in un unico sistema apparecchi e attrezzature fino ad allora autonome. Ricordiamo Ponti anche per il progetto della seduta "Superleggera" del 1955 (prod. Cassina)[14], realizzata partendo da un oggetto già esistente e di solito prodotto artigianalmente: la Sedia di Chiavari[15], migliorato in materiali e prestazioni.
Nonostante questo, Ponti realizzerà nella Città universitaria di Roma nel 1934 la Scuola di Matematica[16] (una delle prime opere del Razionalismo italiano) e nel 1936 il primo degli edifici per uffici della Montecatini a Milano. Quest'ultimo, a caratteri fortemente personali, risente nei particolari architettonici, di ricercata eleganza, della vocazione di designer del progettista.
Negli anni cinquanta, lo stile di Ponti si fece più innovativo[17] e, pur rimanendo classicheggiante nel secondo palazzo per uffici della Montecatini (1951), si espresse pienamente nel suo edificio più significativo: il Grattacielo Pirelli in Piazza Duca d'Aosta a Milano (1955-1958)[18]. L'opera fu costruita intorno a una struttura centrale progettata da Nervi (127,1 metri). L'edificio appare come una slanciata e armoniosa lastra di cristallo[19], che taglia lo spazio architettonico del cielo, disegnata su un equilibrato curtain wall e i cui lati lunghi si restringono in quasi due linee verticali. Quest'opera anche con il suo carattere di "eccellenza" appartiene a buon diritto al Movimento Moderno in Italia[20].
Opere
Industrial design
1923-1929 Porcellane per Richard-Ginori
1927 Oggetti in peltro ed argento per Christofle
1930 Grandi pezzi in cristallo per Fontana
1930 Grande tavolo in alluminio presentato alla IV Triennale di Monza
1930 Disegni per stoffe stampate per De Angeli-Frua, Milano
1930 Tessuti per Vittorio Ferrari
1930 Posate ed altri oggetti per Krupp Italiana
1931 Lampade per Fontana, Milano
1931 Tre librerie per le Opera Omnia di D'Annunzio
1931 Mobili per Turri, Varedo (Milano)
1934 Arredamento Brustio, Milano
1935 Arredamento Cellina, Milano
1936 Arredamento Piccoli, Milano
1936 Arredamento Pozzi, Milano
1936 Orologi per Boselli, Milano
1936 Sedia a volute presentata alla VI Triennale di Milano prodotta da Casa e Giardino, poi (1946) Cassina e (1969) Montina
1936 Mobili per Casa e Giardino, Milano
1938 Tessuti per Vittorio Ferrari, Milano
1938 Poltrone per Casa e Giardino
1938 Seduta girevole in acciaio per Kardex
1947 Interni del Treno Settebello
1948 Collabora con Alberto Rosselli e Antonio Fornaroli alla creazione de "La Cornuta", la prima macchina da caffè espresso a caldaia orizzontale prodotta da "La Pavoni S.p.A."
1949 Collabora con officine meccaniche Visa di Voghera e crea la macchina da cucire "Visetta".
1952 Collabora con AVE, creazione di interruttori elettrici
1955 Posate per Arthur Krupp
1957 Sedia Superleggera per Cassina
1963 Scooter Brio per Ducati
1971 Poltrona di poco sedile per Walter Ponti
Roberto Papini Nato a Pistoia il l° febbraio 1883 dall’ing. Carlo e da Clementina dei Marchesi Incontri, R. P. studiò fisica-matematica nella R. Università di Pisa; fu dal 1908 al 1910 allievo della Scuola di perfezionamento in Storia dell’arte diretta da Adolfo Venturi nella R. Università degli studi di Roma conseguendo a pieni voti, al termine dei tre anni, il diploma. Iniziò subito a scrivere su quotidiani a tiratura locale.
Tutta la sua carriera professionale fu costellata di importanti cariche: direttore della Pinacoteca comunale di Prato (1912), della Galleria Nazionale d’arte Moderna in Roma (1933) e della Pinacoteca di Brera (1920), incaricato dal Ministero degli Affari Esteri di soprintendere all’arredamento delle R. Ambasciate, Legazioni e Consolati all’estero (1921-1926), Commissario governativo del R. Museo Artistico-industriale in Roma con incarico della direzione (1928). Ebbe costantemente nei vari anni collaborazioni con giornali e riviste dove pubblicò pezzi di critica sull’arte contemporanea e di urbanistica. Fondatore nel 1921 con Giovannoni, Piacentini, Cecchelli e Grassi della rivista «Architettura e arti decorative», fu membro del comitato di redazione. Le sue maggiori collaborazioni come critico, con articoli sull’architettura e sull’urbanistica, furono con il «Conciliatore» nel 1914, il «Corriere della Sera» dal 1926, e con «Il Mondo» di cui fu redattore fin dalla fondazione (1922); scrisse inoltre su «Rassegna italiana » e su «Dedalo» dal 1922 e quasi continuativamente fin dal 1914 su «Emponium».
Autore di molte pubblicazioni di storia dell’arte, si ricordano il Catalogo delle cose d’arte e di antichità d’Italia: Pisa (2 voll., Roma, Calzone, 1912-1914) e il Catalogo della Galleria Comunale di Prato del 1912 dei quali fu curatore; Le arti a Monza nel MCMXXIII, del 1923, e infine la monografia su Francesco di Giorgio Martini, in tre volumi, del 1946.
Importante fu il suo impegno nell’insegnamento: insegnò Storia dell’arte nel R. Museo Artistico Industriale di Roma dal 1928 al 1931, dal 1929 fu docente di Storia dell’arte medioevale e moderna, tenendo corsi sull’architettura, alla R. Università per stranieri di Perugia, dal 1934 incaricato dell’insegnamento di Storia dell’Arte medioevale e moderna nel R. Istituto Superiore d’Architettura di Firenze per il primo e secondo corso; fu nominato, infine, Professore ordinario di Storia e Stili dell’architettura nel 1941 nella facoltà di Architettura di Firenze e incaricato, nel 1943, del corso di Caratteri stilistici e costruttivi dei monumenti.
Importante fu il suo contributo al dibattito che coinvolse il mondo della cultura e della politica fiorentina all’indomani della fine della guerra quando si posero i problemi della ricostruzione: membro della Commissione per la ricostruzione del centro-storico di Firenze, espresse il suo autorevole parere in più occasioni (v. La sorte di Firenze sta per decidersi, in «La Nuova Città», nn. 4-3, 1946 e Il referendum sulla ricostruzione di Firenze, in «La Nazione del Popolo», 13 nov. 1946). Morì a Modena il 10 novembre 1957.

