N. 98864276

Maestro di Fontanarosa (XVII) - San Girolamo
N. 98864276

Maestro di Fontanarosa (XVII) - San Girolamo
MAESTRO DI FONTANAROSA (Giuseppe Di Guido)
(Documentato a Napoli nel primo trentennio del '600)
San Girolamo, 1620 ca.
Olio su tela, cm. 125 x 93,5
Dimensione cornice cm. 140 x 118 x 8 ca.
NOTE: Pubblicazione catalogo opere della collezione Intermidiart. Certificato di Garanzia e Lecita Provenienza. Expertise Stefano Causa. Opera con cornice in stile barocco, laccata nera e dorata (difetti):
Ringraziamo il Prof. Stefano Causa per aver suggerito l'attribuzione al Maestro di Fontanarosa o Giuseppe Di Guido (Documentato a Napoli nel primo trentennio del '600) con comunicazione scritta ai proprietari.
Presentiamo nel catalogo dell’asta un interessante dipinto ad olio su tela di eccezionale qualità, ove illustra San Girolamo orante e ricondotto al catalogo di Giuseppe Di Guido o Maestro di Fontanarosa (documentato a Napoli nel primo trentennio del '600), dal noto storico Stefano Causa con una scheda scritta ai proprietari, di cui scrive:
“ … A metà strada tra Battistello Caracciolo e Ribera: un apice del “Maestro di Fontanarosa”, alias Giuseppe Di Guido.
Pressoché intatto, quasi come uscito dallo studio del pittore, questo impressionante San Gerolamo, non più giovane ma non ancora vecchio, dal corpo ancora sodo, va restituito senza indugi, sulla base dell’analisi formale, a una personalità ben delineata dalla critica, attiva nel secondo quarto del ‘6oo e nata, probabilmente, nel 1590; una delle più forti e caratterizzate dell’intensa stagione post caravaggesca a Napoli e nel Vicereame.
Si tratta del “Maestro di Fontanarosa” che siamo concordi, sulla base delle carte, nell’identificare in Giuseppe Guido (o Di Guido), impegnato nel terminare le parti tardo cinquecentesche del soffitto della chiesa di San Gregorio Armeno a Napoli capolavoro, per la porzione pittorica, del fiammingo di adozione italiana Teodoro d’Errico.
Gli studi e le ricerche sulla pittura napoletana del ‘600, in modo particolare del primo trentennio, hanno subito un inaspettato balzo in avanti quando, anche con la collaborazione di chi scrive, apriva nelle sale vaste e algide di Castel Sant’Elmo a Napoli la rassegna su “Battistello Caracciolo e il primo naturalismo” (1991).
Nel catalogo della mostra, curata da Ferdinando Bologna coadiuvato da chi scrive nelle parti monografiche sul Caracciolo il maestro, per allora ancora senza nome, diventava responsabile di dipinti già riferiti a Battistello ma nei quali lo stile accusasse e risentisse veracemente dell’intelligenza di Ribera. Negli anni successivi, la riemersione di un documento relativo, come detto, al soffitto di San Gregorio ha concesso di sciogliere la dicitura convenzionale di “Maestro di Fontanarosa” in una personalità storicamente accertata.
I nomi con cui conviene confrontarci, da noi anticipati nel titolo, per incanalare nella giusta direzione lo stile e la cultura di questo potente capoletto devozionale, sono, appunto, quelli di Giovambattista Caracciolo (1578-1635) e di un pittore di una generazione più giovane, Jusepe de Ribera (1591-1652). Dobbiamo imparare a considerarli padrini e numi tutelari di un maestro talentuoso che li conosceva bene e che tallonava da presso; i due con cui non smise di confrontarsi (sovente, senza far cattiva figura).
Dopodiché un’occhiata al Battistello maturo (nel corso del terzo decennio) e al primo Ribera napoletano (dal 1616) consente di immaginare una possibile seriazione per le tele del “Maestro di Fontanarosa”, a cominciare da quella con l’Ultima cena” dell’omonima parrocchiale avellinese che offre il nome convenzionale al pittore; a finire con questa in esame. Ma andiamo per ordine e riprendiamo fiato.
San Gerolamo col teschio
In un ambiente indeterminato illuminato da sinistra e accompagnato da un teschio in tralice (cavato di peso da Battistello) San Gerolamo è un campione del lessico di un maestro entrato dalla porta grande degli studi da oltre trent’anni. Si cominciò a parlare di lui, con cauto avviamento filologico, nel catalogo di una delle esposizioni cruciali degli ultimi decenni. Parliamo della rassegna immaginata da Ferdinando Bologna (scomparso nel 2019) su “Battistello Caracciolo e il primo naturalismo a Napoli”.
Sono passati oltre trent’anni da quella coraggiosissima ribalta e, come ribadito nelle pieghe del catalogo della recente mostra sul Caracciolo da noi curata nella sala Causa della Pinacoteca di Capodimonte (Napoli 2022), il “Maestro di Fontanarosa”, alias Giuseppe Di Guido, rischia di passare alla storia come il maggiore, oltreché il più autonomo, dei seguaci del Caracciolo e, insieme, tra i primi artefici locali ad aver reagito alle proposte del grande stilista spagnolo.
Potente e impressivo il “San Gerolamo” è opera di qualcuno che costeggiasse Battistello e che, a un certo punto, acquistasse consapevolezza dello scatto, in senso stilistico, impresso dal Ribera alla scena locale. Il nostro dipinto si pone a metà strada tra i due e, insieme, riapre il dossier su un corpus di livello alto e costante, prospettandone un arricchimento significativo. Tutto fa credere che la tela vada collocata negli inoltrati anni 1620 - impossibile allo stato attuale essere più precisi. Ma avviciniamoci.
Al cuore di una confluenza di stile
La scrittura del panneggio, che si gonfia come un mare in tempesta, deferisce ampiamente al lessico del Caracciolo. Si pensi ai panneggi della “Sacra Famiglia con Sant’Anna” del Kunsthistorisches Museum di Vienna, che si data nei primi anni 1630 e, nella recente mostra su Battistello, era esposta nelle ultime sale. Del pari è purissimo Battistello il tono cupo, squisitamente bronzeo che abbiamo imparato ad apprezzare nella fase matura, intorno agli inoltrati anni 1620 (tra la “Lavanda dei Piedi” del coro della Certosa di San Martino, 1622 e gli affreschi successivi, tuttora malnoti, con le storie di San Michele Arcangelo nella cappella Severino in Santa Maria la Nova).
Il Caracciolo, quanto di più simile ad un allievo in senso stretto il Caravaggio a Napoli ebbe mai, è sempre presente. Nella definizione massiva del torso oltreché nella stesura, stupenda, del braccio esplorato nelle ramificazioni venose. E di qui il maestro risale a ripescare Caravaggio stesso (a cominciare dal “Sant’Andrea” del Museo di Cleveland). Il nudo del santo eremita è però, ormai, arricchito, dalla conoscenza di un feroce scrutatore di epidermidi senili come Ribera.
Questo frutto maturo del naturalismo meridionale, di cui esiste almeno un’altra versione che abbiamo riprodotto debitamente qui in calce, è passato al setaccio, al severo filtraggio dello spagnolo. Pensiamo, innanzitutto, al “San Gerolamo e l’angelo del giudizio”, firmato nel 1626, esposto al secondo piano di Capodimonte nel terzo allestimento curato da chi scrive e, in questi mesi, visibile al Louvre nel corridoio della “Galerie des Italiens”.
Non esiste, nella pittura meridionale della prima metà del ‘600 un dipinto che contemperi in modo altrettanto formulare la lezione di questi due capofila. Nel San Gerolamo s’incontrano, ai livelli più alti, il diktat del maggior caravaggesco napoletano e colui che rimette, al centro della discussione di intendenti e amatori, oltre che di artisti e pubblico, quel primato dello Stile cui Caravaggio, e soprattutto il Caravaggio dell’ultimo tempo (1606-’10) aveva rinunciato; sollecitando implicitamente a farlo gli altri maestri, impediti o, quantomeno, inibiti a copiare, o anche emulare una tavolozza cromaticamente avara e una scrittura corsiva, ai limiti della sgrammaticatura.
Per concludere: se il “Maestro di Fontanarosa” è un caravaggesco che a un certo punto si mette sulle orme di Ribera, la posta in gioco è più alta che una semplice accessione, sia pure di grandissimo momento, a uno dei pittori più esplosivi dello scorso trentennio. Qualunque aggiunta a questo, che è uno dei grandi maestri locali del secondo quarto del ‘6oo, segna il punto d’incontro tra opzioni stilistiche, dunque culturali, consecutive e, da un dato momento in poi, opposte. Il naturalismo sintetico di Battistello e la rivendicazione del primato dello Stile operata dal Ribera a Napoli [cit. scheda critica Prof. Stefano Causa].
Bibliografia essenziale: Ferdinando Bologna (et alii), Battistello Caracciolo e il primo naturalismo a Napoli, catalogo della mostra, Napoli 1991; Stefano Causa, Un’aggiunta al Maestro del Gesù tra i dottori, in ‘Paragone’, 1992, pp. 38-40; Stefano Causa, ‘Teodoro d’Errico il fiammingo: note in margine ad una mostra recente’, in ‘Bollettino d’Arte’, 1997, pp. 35-48; Stefano Causa, La strategia dell’attenzione. Pittori a Napoli nel primo Seicento, Napoli 2007; Giuseppe Porzio, La scuola di Ribera…, Napoli 2014, pp. 24 e ss, con bibl precedente; Stefano Causa (a cura di), Battistello Caracciolo. Il patriarca bronzeo dei caravaggeschi, catalogo della mostra, Napoli 2022.
In merito al suo stato conservativo, la tela si presenta in condizioni generali discreti considerando l'epoca del dipinto. La superficie pittorica si presenta in patina, e non mostra difficoltà di lettura. Il supporto è stato rintelato. Si notano – a luce di Wood – alcuni piccoli restauri sparsi e qualche leggera svelatura e ossidazione della superficie pittorica, nulla comunque di veramente rilevante. A luce solare è visibile un fine craquelé rapportato all'epoca. Le misure della tela sono cm. 125 x 93,5. Il dipinto risulta impreziosita da una bella cornice in stile barocco laccata nera e dorata (le misure della cornice sono cm. 124 x 98,5 x 6 ca., difetti). "La cornice mostrata nelle foto riportate sopra è stata aggiunta all’opera d’arte dal venditore o da un soggetto terzo. La cornice ti viene fornita senza costi aggiuntivi in modo che sia pronta da esporre non appena arriva. La cornice viene inclusa a titolo di cortesia e non è considerata parte integrante dell’opera d’arte. Pertanto, qualsiasi potenziale danno alla cornice che non influisce sull’opera d’arte stessa non sarà accettato come motivo valido per aprire un reclamo o richiedere l’annullamento dell’ordine."
Provenienza: Coll. privata Siciliana
Pubblicazione:
Inedito;
I Miti e il Territorio nella Sicilia dalle mille culture. INEDITA QUADRERIA catalogo generale dei dipinti della collezione del ciclo “I Miti e il territorio”, Editore Lab_04, Marsala, 2025.
L’opera verrà spedito – in quanto fragile – con cassa di legno e polistirolo o trasportatore di fiducia. L’opera è corredata di Attestato di libera circolazione, per l’Europa.
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